Un libro, un film e un disco

Tre opere recenti per regalarsi un po' di bellezza

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IN BREVE Chi: DeLillo, Brosens & Woodworth, Willis Earl Beal Cosa: consigli per ore ben spese Quando: appena possibile Dove: più o meno ovunque FOTO: La Quinta Stagione

C’è un gran bisogno di cose belle e intense. In questo pezzo, quindi, si consigliano tre opere, tre cose piccole ma buone, come direbbe Carver, senza peraltro dare un significato definito alle sue parole. Un libro, un film e un disco piuttosto recenti che hanno, fra l’altro, parecchio da dire su di noi.

Un libro. Cosmopolis – il mercato ai tempi dell’Apocalisse
“Il topo diventò l’unità monetaria” è la frase del poeta polacco Zbigniew Herbert con cui si apre Cosmopolis, libro del 2003 del newyorkese Don DeLillo che ha ricevuto nuova visibilità grazie alla trasposizione di Cronenberg del 2012. La sintetica perfezione della frase ricorda quel che diceva Borges circa la possibilità di raccontare il sogno: “Quel che c’è di difficile nel mettere sulla carta un incubo è che la sensazione d’incubo non è provocata dalle immagini. Piuttosto, è la sensazione che provoca le immagini”. Quindi citava Chesterton, per il quale “alla fine del mondo c’è un albero la cui forma stessa è il male”, come creatore di un’immagine capace di generare quella particolare sensazione. Il topo diventò l’unità monetaria è una frase densa di paure, una profezia al passato che ci getta subito nell’atmosfera densa d’ineluttabilità di Cosmopolis. Si tratta di un libro capace di generare un’ossessione, che nell’arte è indispensabile per alimentare una passione.

Come può un essere umano, nell’epoca dell’espressione più intensa del capitalismo, impersonare la forza di inimmaginabili quantità di denaro? Non può, non può riuscirci Eric Paker, giovane übercapitalista che, mentre New York è paralizzata dalla visita del presidente, decide d’attraversare la città a bordo della sua limousine bianca, per aggiustarsi il taglio dal suo barbiere. Paker ha il compito di incarnare una nuova forma di divinità, l’impresa impossibile di coniugare la perfezione asettica e numerica della finanza con i fluidi, le carni, le asimmetrie di un uomo che ne è la provvisoria incarnazione. Cosmopolis è un’opera affilata e aperta, un viaggio paranoico dove grandezze imponderabili e artificiali lottano e si fondano con la banalità dell’esistenza.

Un film. La Quinta Stagione – la fragilità delle regole sociali
Quello di Peter Brosens e Jessica Woodworth, coppia di registi belgi, è un film poco conosciuto, eppure uno dei migliori degli ultimi tempi. La Quinta Stagione in una rappresentazione fredda, attenta alla resa fotografica e alla costruzione di simboli e immagini nitide quanto significativamente ambigue, ci porta in un paesino rurale delle Ardenne dove si vive seguendo i cicli della natura, si curano i campi, si fanno gare di canto fra galli, i ragazzi si inseguono e ritrovano nei boschi, richiamandosi simulando il verso degli uccelli. L’ultimo giorno d’inverno viene bruciato un fantoccio di vimini, per entrare nel nuovo ciclo e salutare la primavera. Ma questa volta il rito non funziona, Zio Inverno non prende fuoco in nessun modo. Con questo presagio inizia una nuova stagione, che non è semplicemente una prosecuzione dell’inverno: durante la quinta stagione gli elementi – la terra, l’acqua – diventano sterili e si svuotano della vita.

Col prolungarsi del fenomeno nella piccola comunità riaffiorano istinti violenti e irrazionali, che recidono legami e trovano sfogo nella mutua legittimazione della sopraffazione. Gli antichi riti edulcorati e trasfigurati rivendicano una funzione reale, per ritrovare la ferocia sacrificale. Quando i vantaggi derivanti dalle regole sociali vengono meno il rapporto fra natura e cultura mostra la sua fragilità, e l’uomo esprime con la violenza e il cinismo la paura per l’alterità, l’estraneo, identificandolo come una minaccia per la propria sopravvivenza.

Un disco. Willis Earl Beal – Nobody Knows
Dopo due testi tanto legati alla riflessione sul presente quanto poco pacificati con lo stesso, la chiusura è per un disco che, dotato della giusta dose di rabbia e stranezza, si presenta come un ascolto piacevole e interessante. Willis Earl Beal, artista di Chicago, esordiva nel 2012 con Acousmatic Sorcery, un disco “di fortuna”, fatto di intuizioni trovate sulla strada: registrazione a dir poco Lo Fi, strumenti ricercatamente dissonanti. Il nuovo Nobody Knows è più strutturato, melodico, e adatto a imporsi come rivelazione musicale prima che come curiosità “acusmatica”.

Sulle orme di un Tom Waits modificato da sonorità black, Nobody Knows ha in Wavering Lines un’apertura gospel che approda in un inatteso crescendo di violoncello, mentre al secondo pezzo schiera già una potenziale hit, Coming Through, accattivante ritmo alla Barry White che ha dalla sua una seconda voce come Cat Power. Il disco procede sicuro fra tracce che ricordano il Waits sferragliante e fumoso di Eyeball Kid in Too Dry to Cry e Ain’t Got No Love, ballate più pulite come White Noise e riverberi rock come Hole in the Roof.

Da ascoltare quando si è tristi, quando si è felici, al buio, in autobus, la domenica mattina, mentre si guida, camminando senza meta, in cuffia, in compagnia, a volume alto mentre si cucina, mentre si va all’Ikea, a costruire la rivoluzione.

14 ottobre 2013

 

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