Que viva México! La mostra sospesa dal golpe cileno

Per la sua prima volta in Europa la mostra dedicata a tre fra i maggiori esponenti del movimento artistico Muralista, sceglie Bologna

México la mostra sospesa

IN BREVE  Cosa: México. “La mostra sospesa”. Orozco, Rivera, Siqueiros  Quando: 19 ottobre 2017 – 18 febbraio 2018  Dove: Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni Via Manzoni 2, Bologna  Costo: open € 15 (valido per tutta la durata della mostra) intero € 13 ridotto € 10 ridotto bambini € 5 ( da 6 a 11 anni) Immagine: Zapata, Estudio para el mural del castillo, particolare

A volte vale la pena aspettare quarantadue anni per ammirare i lavori di artisti che al di là dell’oceano hanno fatto la storia della pittura contemporanea. È questa la prima soddisfazione che ci si toglie attraversando le sale di palazzo Fava, con l’occhio che si ferma sui particolari dei dipinti a olio, dei bozzetti e dei disegni ad alto contenuto sociale e politico firmati da José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros e Diego Rivera.

A questi tre artisti messicani, fra le figure di spicco del movimento Muralista, il primo movimento artistico autonomo del Centro America, è dedicata México – La Mostra Sospesa, mostra “collettiva” inaugurata stasera alle ore 18 e ospitata negli spazi di via Manzoni 2 fino al 18 febbraio 2018.

Una mostra particolare, che per certi versi scavalca la sua importanza artistica con la sua valenza storica. L’esposizione dedicata ai los tres grandes, doveva essere inaugurata a Santiago del Cile il 13 settembre 1973, cosa che non accadde perché due giorni prima il governo Allende venne rovesciato dal golpe militare di Pinochet. «Il popolo cileno, cui era dedicata, non l’ha mai potuta vedere, se non 42 anni dopo, nel 2015» dice il curatore Carlos Palacios. Ecco da dove deriva la definizione di “sospesa”, da un momento storico particolarmente tragico, che chiude anche i rapporti di grande amicizia fra i due stati sovrani.

Le opere, che appartenevano in massima parte alla collezione Carrillo Gil-Tejero, rischiarono di venire distrutte dall’esercito golpista, che attacca il Museo delle Belle arti. Si salvano in modo abbastanza rocambolesco e fortunoso, come viene in parte documentato dai documenti esposti nelle bacheche della sala a piano terra. «Carrillo disegna una mappa del dove si trovano le opere entro il museo» racconta Palacios. «Trova un sistema per imballarle tutte e va in aeroporto per fuggire e salvarle. Ma non riesce a partire. Torna in albergo e lì aspetta che qualcuno gli dia l’ok per fuggire, sempre via aereo. Le opere, che sono patrimonio nazionale, sono in pericolo e lui non se ne vuole distaccare. Le vuole salvare a tutti i costi. Alla fine, dopo due settimane, salva loro e la famiglia Allende, la moglie con le due figlie».

La storia di per sé “metafisicamente sudamericana”, basterebbe da sola come stimolo per il pubblico a muoversi da casa e andare ad ammirare le settanta opere esposte. «Sessantotto» precisa Fabio Roversi-Monaco, presidente di Genus Bononiae-Musei nella città, organizzatrice della mostra con Fondazione Carisbo, che per la prima volta scavalca l’Atlantico per farsi ammirare in Europa. Basterebbe. Ma insieme a questo vi è, altrettanto importante, il valore artistico di quanto esposto nelle sette sale del primo piano di palazzo Fava. Perché México offre una immagine completa di quello che è la forza estetica, l’impatto sociale e politico, di un movimento postrivoluzionario qual era quello dei “muralisti”. Senza dimenticare che quella di Carrillo Gil rappresenta la più grande collezione di opere legate a quel particolare periodo creativo. «La sua collezione è composta da circa 1500 opere, in buona parte legate alla produzione dei muralisti. È stata donata allo stato messicano nel 1972, che la ospita dal 1974 nel Museo d’arte Carillo Gil» precisa Vania Rojas Solis, direttrice del museo.

A Orozco, Siqueiros e Rivera, vengono dedicate due sale a testa, così da poter creare un esaustivo percorso cronologico o una focalizzazione sul loro lavoro. Sono monografie, complete nel loro essere essenziali. E a cui giocoforza manca la potenza dei murales, che i tre artisti hanno prodotto e che ancora si possono ammirare in Messico, per chi ha la possibilità di andarci. Una mancanza necessaria, a cui si è tentato di porre rimedio proponendo una documentazione video in HD, con animazioni, delle loro opere “muraliste” più famose.

In quanto a potenza espressiva, a uso di volumi e colori, le opere esposte non sono comunque da meno. Tanto che è complesso indicare quali siano i pezzi forti. «Anche per me è difficile» dice il curatore della mostra. «Posso farlo solo come mia indicazione personale». Dunque «per Orozco, che apre la mostra, indicherei le opere prodotte nel periodo newyorchese e quelle legate alla rivoluzione. Per Siqueiro i bozzetti e gli olii che diventeranno murales o quelli che ne prendono ispirazione. Invece per Rivera credo che la parte più preziosa sia quella relativa al suo periodo cubista. Sono opere meno conosciute, ma fanno vedere nitidamente come abbia vissuto quel periodo e quanto sia stato influenzato dall’avanguardia europea».

Da aggiungere che le opere di Orozco relative alla sua residenza negli Stati Uniti denunciano ampiamente, anche se con un altissimo grado di rielaborazione, l’influenza di Picasso e del suo Guernica. Ma Orozco è anche l’artista fra i tre in cui appare più potente la vena “narrativo-simbolica” in cui si riversa una visione del mondo pessimista. Soprattutto quando si focalizza sulla massa, in cui non ha fiducia, e che definisce come barbara, inumana, ignorante, intenta a scazzottarsi (come in Rina en un cabaret, olio del 1944). L’idea raggiunge il suo apice in nel Cristo destruye su cruz (1943) dove Cristo appunto distrugge la croce, mentre libri bruciano e colonne sembrano crollare. «È un dipinto in cui la metafora riguarda la cultura che cade in pezzi proprio a causa della barbarie di cui è colmo l’essere umano» sottolinea Palacios.

Altro discorso si può fare per Siqueiros il cui lavoro si muove su un asse di sperimentazione dei materiali. A lui si devono infatti opere create usando la pirossilina, composto chimico che riesce a dare una grande tridimensionalità alle opere. A questo proposito sono da citare il Retreato de Carmen T. de Carrillo Gil (1946) e lo studio per il murale dedicato a Zapata (1966).

Infine per Rivera è impossibile non abbinarlo immediatamente a Frida Kalo, sua compagna. Ma l’artista, che in México viene proposto a partire da un’opera giovanile per posi spingersi dentro i periodi cubista e postcubista fino al suo volgere lo sguardo nuovamente alla tradizione pittorica della sua patria.
Oltre a non rientrare nel movimento Muralista, Kalo ha una pittura molto più “interiore” rispetto a Rivera, pronto a spingere il suo sguardo oltre i confini della loro casa. Ma è interessante notare quanto una delle sue ultime opere, La nina Lupita cruz a los tre anos, qui esposta, riprendendo l’impronta della pittura naif e l’aspetto popolare messicano, si avvicini alla Kalo. «Caratteristica del quadro è il nastro che campeggia nella parte alta e che si ritrova nel lavoro della Kalo, quando dipinge il loro matrimonio», dice Palacios. «Inoltre, è da notare il colore azzurro utilizzato non solo per lo sfondo del quadro, ma lasciato propagarsi all’esterno, sulla cornice. Il ricordo va immediatamente all’azzurro con cui è dipinta la casa di Frida».

19 ottobre 2017

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