Quaderni Giapponesi: il viaggio di Igort nell’Impero dei Segni

Nell'ultimo graphic novel dell'artista, un diario per smarrirsi nelle fascinazioni del Sol Levante

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IN BREVE Cosa: recensione di Quaderni giapponesi di Igort, edito da Coconino press, 2015-2016 Pagine: 182 Costo: 19 euro

Qualcuno si è contrariato leggendo Quaderni giapponesi, ultimo lavoro in ordine di tempo firmato da Igort, acquistabile anche in una versione di formato più grande, stampata su carta color avorio, con copertina cartonata e nuova sovracopertina. Si è contrariato perché l’artista “ci sarebbe troppo”, cioè si metterebbe abbondantemente davanti alla storia. Certo, è così, ma è anche una interpretazione estremamente parziale di questo graphic novel, il cui intento appare ben altro, appena si termina la lettura. Rispetto ai precedenti “quaderni” (Quaderni ucraini, 2010, e Quaderni russi, 2011) vi è sicuramente una sterzata netta dai territori del reportage per approdare al racconto di una passione “divorante” e continua nel tempo. Resta ben visibile, in questo scarto, il filo rosso che lega insieme i tre titoli, ovvero la ricerca di una verità, il bisogno di capire cosa c’è dentro un accadimento o, come in questo caso, dentro una società e un pensiero opposto a quello occidentale.

Quanto Igor Tuveri declina in Quaderni giapponesi ha comunque molto meno a che vedere con l’idea giornalistica che animava i due precedenti lavori. Le finalità in queste pagine sono altre, legano la passione di cui si diceva con l’esperienza diretta di quella passione, con la profondità di quanto si è vissuto. Ecco perché si dovrebbe parlare di “diario”, di memoir e non di “quaderno” senza, credo, offendere l’operato dell’autore e arrivando vicini alle motivazioni che lo sostengono.

Parliamo di diario anche per la struttura del volume. In Quaderni giapponesi Igort spinge sul pedale del rapsodico, episodico e dell’aneddotico, che scaturiscono da eventi ed evenienze (reali e fantastiche). Nel loro insieme, questi elementi compositivi portano a restituire sulla pagina, nella tavola, non solo il pensiero e le impressioni di un viaggiatore innamorato e sperduto in un territorio che da sempre ha desiderato esplorare, ma nello scorrere del racconto anche una idea stereoscopica del Giappone.

Ogni indicazione che l’autore cagliaritano-bolognese-parigino offre di questo paese dalla cultura e dalle tradizioni così complesse e così distanti dalle nostre eppure in grado di colpire, affascinare, conquistare la nostra sensibilità, è un continuo mettere l’io del narratore (e del lettore) in rapporto con l’altro, con la sua alterità.

Se Igort approda in Giappone per lavorare con l’industria del manga, ecco che l’evenienza diventa la miccia per rapportarsi e raffrontarsi con un mondo che si ama da sempre eppure non si conosce realmente e, viene confessato, mai si conoscerà nella sua interezza. Dalla frammentazione del racconto sorgono allora illuminazioni, intuizioni, conferme. Eppure il mistero di questa terra lontana non si scioglie nelle tavole del Quaderno. È vero, la distanza fra Occidente e Oriente in alcuni momenti pare accorciarsi, specie quando Igort crea inserti digressivi nel suo percorso biografico dove la cultura giapponese nelle sue varie sfaccettature “produttive” (mangaka, scrittori, Storia, leggende) viene campionata e quasi “spiegata”. Subito dopo, la stessa distanza appare nuovamente immensa, incolmabile; incapibili le fondamenta che la sostengono.

È come se la metafisica vincesse costantemente sulla quotidianità delle azioni, diventando unica verità tangibile. Un pensiero quest’ultimo, che lo stesso autore sembra esplicitare attraverso la sua esperienza pluriventennale con la terra del Sol levante. Esperienza che non gli permette ancora oggi di dare per assodate, per totalmente conosciute, per routinarie né cultura né società di quel paese.

Eppure in Quaderni giapponesi non vi è alcuna frizione insormontabile fra il mondo occidentale e quello orientale. Tutti hanno curiosità di conoscere l’altro, di portare nel proprio territorio esperienze lontane quanto diverse. Igort acquisisce informazioni attraverso gli artisti – autori di manga, di anime – e i redattori della Kodansha con cui entra in contatto. Ma, come si è detto, lo fa anche raccogliendo elementi di Storia giapponese, sia che si tratti delle differenze fra quartieri di Tokyo, accennate (“Bunkyo-Ku, nelle stradine interne, lontano dal frastuono della Shinobazu dori, sembrava un quartiere assopito, avvolto da una bolla di tempo”) o approfondite, sia che racconti le vite di autori grandissimi come Hokusai o Mishima. Contemporaneamente ne offre. Dialogando con Jiro Taniguchi, autore fra le altre de Gli anni dolci (Rizzoli), scopre che questo maestro mangaka disegna circa sessanta tavole al mese, ed è considerato lento. Sorpreso commenta: “È più o meno la produzione di un autore occidentale in un anno”. Qui si innesca il dialogo fra i due, lo scambio di informazioni: “Il manga e il fumetto, due mondi che si guardavano”.

Alla fine, quel che Igort ha appreso del Giappone, quello che ha intuito, quello che ancora non ha afferrato, quello che lo affascina per la sua inconoscibilità, è stato trasposto nelle tavole del suo libro con una partecipazione che lo scavalca come autore. Tavole dove i colori raccontano quasi sempre la vita nipponica, i suoi aspetti meno appariscenti, mentre alle tonalità che arrivano a toccare il bianco e nero spetta documentare i momenti “produttivi”. Nella loro composizione trova spazio tutto quello che in circa venticinque anni ha alimentato la fiamma dell’amore, del rispetto, dell’ammirazione di un artista del suo calibro per l’altro da sé. Evocativo e concreto, Quaderni giapponesi è veramente Un viaggio nell’impero dei segni, come recita il sottotitolo. Ma più di ogni cosa è un viaggio capace di portare oltre la semplice scoperta dei meccanismi che regolano una delle più grandi industrie produttrici di fumetti, per offrirci con lucidità la visione onestamente parziale di un mondo a noi profondamente straniero.

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10 maggio 2016

courtesy the David Bowie Archive (c) Victoria and Albert Museum, London.

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