Manifesto e Cherchez la Femme, due film da non perdere al Biografilm Festival

Cate Blanchett si moltiplica e plasma le definizioni dell’arte, mentre Sou Abadi firma una riuscita commedia multiculturale

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IN BREVE Cosa: Recensione di Manifesto e Cherchez la femme, al Biografilm Festival Dove: Cinema Arlecchino (via delle Lame 59) e Jolly (via Marconi 14), a Bologna Quando: 17, 18 e 21 giugno 2017 (dettagli nell’articolo) Info: biografilm.it

 

poster small f11633c37b6490f94a946afae94ddda3163425b8Dal Biografilm due film molto diversi, entrambi fortemente consigliati e ancora in programmazione nel calendario del Festival. Manifesto di Julian Rosefeldt, il titolo più rappresentativo di questa edizione del Biografilm, presenta Cate Blanchett impegnata in tredici ruoli differenti e con un testo composto da passi di svariati manifesti culturali. Il film, in anteprima italiana, sarà sabato 17 giugno alle 16.30 al Cinema Arlecchino – Hera Theatre. Il secondo, presentato oggi in anteprima internazionale, è Cherchez la Femme!, commedia francese dell’iraniana Sou Abadi, in programmazione il 17 giugno alle 18.30 all’Hera Theatre, domenica 18 e mercoledì 21 alle 21.30 al Jolly, a chiudere il Festival.

Il videoartista australiano Julian Rosefeldt con Manifesto, girato a Berlino e dintorni, trasforma in un film una sua celebre installazione, e realizza qualcosa di straordinariamente riuscito, da ogni punto di vista. L’idea che ci si potrebbe fare dei monologhi elaborati dai manifesti culturali, interpretati da Cate Blanchett, potrebbe andare verso qualcosa di didascalico e rigidamente strutturato. Non è affatto così, Manifesto è tutt’altro, è molto di più.

Rosefeldt dà vita a tredici personaggi principali legati ad altrettanti mondi, realizza un testo adoperando le parole del manifesto dadaista, futurista, comunista, surrealista, pop, situazionista, prende dal dogma 95 e dalle regole auree per fare film elaborate da Jim Jarmusch, e da molto altro, e costruisce un discorso sull’arte, senza indicare di volta in volta da quale fonte provengano le frasi. La stessa interazione fra contesto e parole non ha un rapporto di corrispondenza: lo stesso mondo ospita i testi di più scritti ed è ricchiamato da un legame è concettuale, oppure determinate scelte visive possono sottolineare specifici aspetti del testo, ma non c’è la volontà di raffigurare ciò di cui si parla. Una madre potrà declamare parti del manifesto Pop durante la preghiera precedente al pranzo familiare, una coreografa spronerà il suo corpo di ballo con Fluxus, una vedova a un funerale darà l’ultimo saluto con i motti dadaisti, una maestra elementare parlerà ai suoi alunni attraverso le regole di Jarmusch e von Trier, e così via. È pressoché impensabile fare arte parlando di arte, e la forza di Manifesto, infatti, viene dal suo non essere un lavoro metaculturale, ma un film autentico (non originale, ché, come impariamo dalla pellicola, l’originalità è un’idea senza fondamento), dove il testo rielaborato conserva tutto il suo valore, e contemporaneamente diventa parte di qualcosa di nuovo.

La regia di Ronsenfeldt e la fotografia di Christoph Krauss hanno ovviamente un ruolo fondamentale, e in sala da tempo non si vedeva qualcosa di così visivamente coinvolgente e stimolante. In ampi contesti geometrici e artificiali – le parole del Manifesto del Partito Comunista sono proclamate da un homeless che vaga fra le rovine di un immenso complesso industriale – e ambienti formati dalla ripetizione simmetrica degli elementi architettonici e degli oggetti, la camera, quasi sempre aerea, taglia gli spazi e ne esaspera le qualità. Le parole, intanto, richiamano alla necessità della distruzione e del tradimento di uno stato delle cose ormai desaturato di senso, per riempirlo con la tensione verso una nuova ricerca espressiva. Nuovi metodi per leggere il mondo, visioni artistiche che in quanto tali si prefiggono non di essere sinceri, ma di dire la verità, asserzioni perentorie e colme di necessità, che sono il fascino della forma manifesto.

Molteplice ma non camaleontica, i diversi volti, le cadenze, le personalità interpretate da Cate Blachett si arricchiscono del suo essere una diva simile a quelle degli anni ’50, che veste ogni ruolo lasciando che rimanga visibile la sua unicità. Il film acquisisce, così, ancora maggiore coerenza e un testo nato da diverse fonti diventa un discorso fluido e strutturato, qualcosa di diverso dalla somma delle sue parti.

cherchez la femme locandinaDi diverso genere, quindi in altro modo apprezzabile, Cherchez la Femme, di Sou Abadi. La regista iraniana costruisce a Parigi una commedia che mette in scena le differenze e le attrazioni fra l’Occidente e la cultura islamica. Per farlo, imbastisce una storia in cui un ragazzo francese si veste con un niqab, che lascia scoperti solo gli occhi, per frequentare la ragazza segregata dal fratello, convertitosi a una visione integralista. Dalle parti di un Soul Man che incontra Tootsie (o Mrs. Doubtfire, a seconda delle preferenze) e si miscela con l’ultimo Kaurismaki di L’altro Volto della Speranza, forse l’unico film d’autore e di fiction ad affrontare il tema dell’integrazione e del confronto culturale con toni non (esclusivamente) drammatici.

Con un buon ritmo e situazioni comiche riuscite, Cherchez la Femme porta in una commedia, dal tono sempre leggero, temi attuali che immersi nella quotidianità e nel meccanismo cinematografico assumono finalmente per lo spettatore dei connotati reali. La forma lieve permette di toccare numerosi temi, e i personaggi definiti e impegnati in vicende in qualche modo conosciute, perché proprie del genere, permettono di avvicinarsi a un confronto che, altrimenti, viene spesso considerato solo esteriormente e soggetto a luoghi comuni e generalizzazioni.

Il consiglio è di non farveli scappare, e buone visioni.

 

15 giugno 2017

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