Tornerà l’età dell’oro?

A dieci anni dall'ultima collaborazione l'autore francese Cyril Pedrosa scrive con Roxanne Moreil una saga di ambientazione medievale dalla forte metafora politica in due volumi: L'età dell'oro.

L'età dell'oro di Cyril Pedrosa

Il boccone amaro c’è stato. Piccolo, ma c’è stato. Nell’incontro con Cyril Pedrosa e Roxanne Moreil, arrivati nel tardo pomeriggio di giovedì 27 settembre alla Feltrinelli di Bologna per presentare L’età dell’oro, è il folto pubblico (molti in attesa di avere la copia autografata) ad averlo inghiotto. È accaduto quando Michele Foschini, direttore editoriale di Bao Publishing in veste di anfitrione e interprete, ha dichiarato che il secondo e conclusivo volume di questa stupenda graphic novel «apparirà nel 2020». C’è stato un attimo di mormorio, di contrarietà, per un secondo, non di più. C’è stato perché a nessuno ha fatto piacere capire che si sarebbe dovuto attendere ben oltre un anno per godere di tutta la storia. Anche perché è una storia che conquista immediatamente, sin dalle prime tavole, per capacità compositiva, per un tratto grafico di enorme fluidità, per una sceneggiatura rigorosa di tempi e presenza dei personaggi. Dispiacere archiviato subito e velocemente, sostituito dalla certezza che Pedrosa regalerà altrettanta magnificenza grafico-narrativa nel secondo volume de L’età dell’oro.

La sceneggiatura, come detto, è opera di Pedrosa e di Roxane Moreil (alla sua prima esperienza, dicono le note biografiche), ma quel che colpisce è la precisione affabulatoria con cui permette al lettore di immergersi in un medioevo reale pur se trasfigurato, solo da un certo punto in poi immerso nel fantastico.

Edito in Francia da Dupuis e, parallelamente, in Italia da Bao Publishing, L’età dell’oro segna il ritorno di Pedrosa ad atmosfere meno realistiche, dopo Portugal e Gli equinozi, due romanzi più “intimi” e contemporanei. La storia della principessa Tilda, spodestata del diritto al trono dopo la morte del padre suicida e sfuggita all’esilio per poi andare a scoprire una “cosa” che il genitore voleva lei sola avesse, ha un forte portato metaforico che si allarga dall’impianto favolistico alla descrizione dei nostri tempi. Perché a nessuno sfugge, leggendo le 224 tavole di questo primo volume, quanto il medioevo che viene raccontato appaia vicino ai nostri tempi di crisi, di chiusura, di odio. Non solo. Appare evidente che l’età riecheggiata fin dal titolo non indichi un passato periodo di ricchezza economica, quanto un periodo di ricchezza spirituale, di felicità e di parità. Foschini arrischia il termine “politico” per la graphic novel. Può darsi.

Certamente l’introvabile o mai esistito L’età dell’oro, libro citato nel romanzo di Pedrosa e Moreil è, se non il perno, almeno il di cosa vogliono parlare i due autori: cioè di un tempo, come recita il personaggio di Frida, “in cui valli e montagne non erano delimitate da muri. In cui gli uomini andavano e venivano liberamente dandosi per regole solo quelle che avevano scelto. Uniti nella disgrazia e nella felicità. A quei tempi gli uomini condividevano tutto, nei periodi di abbondanza e di carestia, come fratelli”. Fuor di dubbio che si possa leggere questo come un augurio da rinnovare, una speranza e sì, anche una denuncia politica, un dito puntato contro il nostro presente.

“Ogni volta che abbiamo dei dubbi sulla natura della storia” sottolinea però Moreil, “ci ricordiamo che, al di là delle tematiche politiche ed ecologiche presenti al suo interno, è comunque una finzione narrativa e che la nostra intenzione iniziale era di raccontare un certo tipo di favola”.

Indubbiamente L’età dell’oro è prima di tutto un romanzo dal grande impatto visivo e sostenuto da una solida struttura narrativa. “Inizialmente ci siamo raccontati a lungo la storia che volevamo narrare” dice Moreil. “Ci son state delle lunghissime sessioni di racconto, dalle quali trascrivevamo solo le parti che decidevamo di tenere. Poi abbiamo scritto tutta la sceneggiatura, minuziosamente: dalle ambientazioni alle inquadrature ai dialoghi, come se qualcun altro avesse dovuto disegnare il romanzo seguendo il solo testo. Abbiamo proceduto così per i due volumi, anche perché la storia era originariamente pensata per essere contenuta in un solo libro”.

Finita questa parte? “Ho iniziato a fare lo storyboard del romanzo per sequenze” dice Pedrosa. “Lavorato su una due sequenze per volta. Finite le tavole attaccavo con altre due sequenze, e via così. In questa fase non ho mostrato molto a Roxanne”.

Altra nota a favore de L’età dell’oro è il proporre una protagonista principale femminile. La principessa Tilda, pur supportata da alcuni personaggi maschili quali Tankred e il fido figlioccio Bertil, resta il centro della storia. Lei è la figura di riferimento di un universo in cui molto spesso nessuno è quel che dichiara di essere. “Mai avrei pensato di debuttare nel fumetto scrivendo una storia di Eroic fantasy” afferma Moreil. “Ma tutto è iniziato da un disegno di Tilda che Cyril aveva fatto sul suo sketchbook”. Ma non c’è solo una casualità alla base della scelta di un personaggio femminile. “All’epoca stavo curando una mostra di arte femminista e c’è stata una disamina sui personaggi femminili presenti nei fumetti. A me interessava creare una eroina che non fosse una bomba sexy e che avesse delle caratteristiche titpiche di un personaggio forte, senza cadere in alcuno stereotipo. E non volevo fosse nemmeno la classica assistente di un eroe maschile. Il desiderio che mi ha guidata nel dare un contributo al romanzo è stato questo”.

Una favola che quindi ha in sé elementi di apparente modernità riportando fino a noi la figura di una ragazza non succube, ma non per questo meno femminile. Però nel suo complesso L’età dell’oro riesce a emozionare il lettore mettendo in campo il classico motto dello show don’t tell. I personaggi sono infatti pure azioni, parlano di se stessi attraverso di esse. E sono queste a determinare la portata dei personaggi nella storia, oltre che la possibilità di dare spessore e profondità al racconto.

Parlavamo di emozione nella lettura di questo graphic novel. Se si pensa che la sceneggiatura ha avuto ben diciotto riscritture prima dello script finale, ci si rende conto di come questo racconto sia stato attentamente soppesato in ogni sua diramazione senza per ciò perdere in potenza espressiva. Segno di una cura massima verso la storia, ma anche verso il lettore. Il che non è poco anzi, non lo è mai.

Inutile dire che su tutto è il segno di Pedrosa a incantare. Un segno maturo capace di non soffocare la storia, che si è evoluto in dinamismo e sintesi pur restando in continuità con quelle che sono le sue prime radici disneyane. Dentro L’età dell’oro sembrano venire in superficie riferimenti a lungometraggi come La spada nella roccia o a La carica dei 101, ma anche allo Shakespeare del nostro De Luca nella costruzione di varie tavole.

“Alcune di queste influenze, ci sono, ma hanno senso se prese più come immaginario collettivo riferito a quel tipo di ambientazione. Per quanto riguarda Disney, beh, io vengo da lì. Ho iniziato a lavorare in uno studio di animazione per la Disney e sono vent’anni che cerco di allontanarmi da quegli stilemi. Però mi rendo anche conto che, nonostante abbia cercato di ampliare il mio vocabolario visivo libro dopo libro per non cadere necessariamente in quelle formule, ci sono situazioni in cui mi diventa automatico riprenderle e mi ci arrendo, perché mi rendo conto di come quella sia la mia base. Non posso farne a meno”.
E Gianni De Luca? “Me lo hanno fatto scoprire Michele Foschini e lo staff di Bao publishing”.

Non un riferimento diretto, quindi. Probabile che il tramite inconscio sia stato il lavoro di Miller, più vicino anagraficamente a Pedrosa. Viene allora da chiedere, di rimbalzo, se ci sia stato un riferimento visivo specifico cui si è appoggiato l’autore francese per disegnare L’età dell’oro. “No e sì” è la replica. “Nel senso che non ce n’è uno specifico, di riferimento. Ho preso da veramente tantissime cose, quindi da tutto e da niente. Sono andato da Dorè a Bruegel, dallo studio di alcuni arazzi o quanto Roxanne mi mostrava.

A volte non sapevo nemmeno cosa fosse. Continuavo a fare ricerche, tentando di integrare elementi. Può apparire un modo caotico di lavorare, ma l’intenzione era quella di allontanarmi dalla tentazione del disegno naturale, così da trovare quello giusto per questa storia. Sono andato per tentativi, fino a quando non ho azzeccato quello giusto”.