All’ITC Teatro in scena I Cavalli alla Finestra, contro l’assurdità della guerra e del potere

La Compagnia Teatro dell'argine racconta la guerra, il potere, la dittatura, la donna con la pièce del drammaturgo rumeno-francese Matéi Visniec

CHI: Compagnia Teatro dell’Argine COSA: I cavalli alla finestra di Matéi Visniec DOVE: ITC Teatro, via Rimembranze 26, San Lazzaro (Bologna) QUANDO: da venerdì 11 a domenica 13 gennaio ORARI: venerdì-sabato ore 21; domenica ore 16.30 CON: Micaela Casalboni, Giovanni Dispenza, Andrea Gadda REGIA: Andrea Paolucci BIGLIETTI: intero € 16; ridotto € 12/ Sabato 12, alle 19.30 INFO: itcteatro.it Aperitivo con il critico. A seguire incontro con la Compagnia

Uno spettacolo “con i suoi anni” I cavalli alla finestra, del rumeno-francese Matéi Visniec, portato in scena presso ITC Teatro San Lazzaro dall’11 al 13 gennaio (venerdì-sabato ore 21, domenica ore 16.30). È infatti una produzione della compagnia Teatro dell’Argine datata 2010, ha quindi otto anni sulle spalle. Ma la pièce così come è articolata, regge ancora benissimo il palco, anzi, risulta tanto attuale oggi quanto il vento delle politiche proposte da molti Stati ci vuole riportare indietro nel tempo. Ed è importante come, nel festeggiare i vent’anni di attività all’ITC, la compagnia che ne gestisce gli spazi decida di riproporlo. Sulla scena, si avverte immediatamente l’attenzione dell’intero gruppo di lavoro (registi e attori) verso il testo di Visniec, che lo scrive nel 1987, sotto il regime Ceausescu, utilizzando una prosa criptica, immaginifica, carica di iperboli e metafore. All’epoca tutto questo lavoro sulla lingua non bastò a salvarlo dalla censura. Nella storia che procede comunque linearmente, chi di dovere intravide gli estremi per bloccarne la messa in scena proprio la sera precedente il debutto.

Rumeno di Radauti, Viesnic è uno scrittore attivo per il teatro dal 1977 ed è unanimemente considerato uno degli autori più significativi della drammaturgia europea contemporanea. Ma vivendo in un paese a regime totalitario, il suo lavoro ha sempre avuto vita difficile. Non abbiamo gli strumenti per dire se questo episodio abbia portato il drammaturgo a lasciare la sua terra nello stesso anno, chiedendo asilo politico in Francia. Di fatto, I cavalli alla finestra resta uno dei suoi lavori più importanti, rappresentato da varie compagnie in Europa come negli Stati Uniti e in Giappone, capace di evidenziare il filo rosso sotteso molte delle sue opere, stigmatizzabile in una acuta reattività alla manipolazione ideologica.

Nella versione del dramma proposta negli spazi di ITC Teatro, il tema sviluppato da Viesnic è quello della guerra. L’autore e la regia di Andrea Paolucci lo declinano portando in scena tre storie dove se ne racconta la follia, così come la maligna suadenza del potere.

Sono tre storie surreali quanto grottesche, ma ben distinte fra loro, dove calcano le assi del proscenio una madre anziana con un figlio demente, una figlia troppo mite che si rapporta con il padre malato e una moglie dal carattere debole subissata dalle violenze del marito. Ognuna si lega alle altre attraverso la partenza per la guerra della componente maschile e del puntuale ingresso negli spazi domestici, abitati dalle sole donne, di un messaggero inviato dal potere centrale. Armato di una misteriosa busta gialla e da un bellissimo mazzo di fiori, il personaggio si svela velocemente essere il latore di una tragica notizia: gli uomini sono morti, non torneranno più.

Un trittico, I cavalli alla finestra che si offre come potente, unitario dramma dell’assurdo; per certi versi una tragedia da camera pervertita attraverso un continuo ricorso all’ironia surreale. Atteggiamento che ne aumenta il valore appunto tragico del messaggio: gli esseri umani si sottomettono troppo facilmente alla forza persuasiva, allucinatoria di chi comanda. Quello che perciò si ha davanti non è un testo sulla guerra, ma sull’ottusità del male che la desidera e la produce.

Da sottolineare inoltre come nei poco più di sessanta minuti di durata della pièce il tempo, il tempo della narrazione, viene sovvertito di continuo. Perché per Viesnic, «quello che sta accadendo ora qui, può accadere domani da un’altra parte. Anzi per meglio dire: quello che accade qui, è accaduto e accadrà sempre e ovunque» afferma Paolucci. «Il tempo non è una variabile, il luogo non influenza il risultato: il potere saprà sempre cosa fare per farci piegare ai suoi voleri e farci credere che lo abbiamo deciso noi».

Così i personaggi si aggirano in una scenografia – creata da Alessandra Vicini – che è ammasso senza soluzione di continuità di grandi bauli, di armadi, valigie, scatoloni, pentole e altro ancora. Non semplici oggetti, ma nascondigli che possono contenere tutto e il contrario di tutto «e che a tutto conferiscono una condizione di provvisorietà e di transitorietà» dice sempre Paolucci.

A posare lo sguardo attonito su una simile desolazione, non il crudele messaggero interpretato da Andrea Gadda, non il figlio-uomo-padre di cui veste i panni Giovanni Dispenza, ma la madre-moglie-figlia Micaela Casalboni. È la donna infatti che, alla fine, diventa elemento simbolico delle accuse di Visniec. È lei infatti che deve subire la presenza della figura maschile (violenta e inetta) come il vuoto dello spazio casalingo, come la memoria deturpata. È sempre lei che smaschera l’ipocrisia del dictat, nascosto dietro la facciata del Dulce et decorum.