Il mio amico Hitler, la recensione

Lo spettacolo andato in scena a Teatri di Vita nell'ambito di Cuore di Tokyo

Il mio amico Hitler

Cosa: Il mio amico Hitler Regia: Andrea Adriatico Interpreti: Antonio Anzilotti De Nitto, Francesco Baldi, Giovanni Cordì, Gianluca Enria Dove: Teatri di Vita

Un Hitler insolito, centrista ma spietato, arcaico ma patinato, un uomo che ha voltato le spalle alla rivoluzione e al popolo diventando un affarista che reprime i suoi istinti in nome del potere. Andrea Adriatico apre la stagione di Teatri di Vita con una produzione molto interessante: uno spettacolo in tre parti, in cui il Mein Kampf fa da sfondo ad una rappresentazione allegorica di un fenomeno storico, ma in fondo di dinamiche umane profondamente annidate nell’inconscio.

Il nazismo oltre la divisa con un’ispirazione al testo ‘Il mio amico Hitler’ di Yukio Mishima. Dura appena un atto la messa in scena della retorica, dei discorsi, del potere ufficiale, che allo spettatore arriva frammentato e ripetitivo come uno dei tormentoni della pop art di Warhol. Gli schermi, la massa, la propaganda: una prima parte molto verbosa, con uno scenario molto minimal, che si consuma nella presentazione delle anime e dei personaggi che si cristallizzano attorno al potere. È una partenza lenta, probabilmente per creare il crescendo che arriva nel secondo e nel terzo atto.

L’occhio del pubblico ritrova il palcoscenico cambiato, stravolto, dominato dalle acque di una piscina che trasforma il punto di osservazione, l’atmosfera. Sembra di essersi spostati nella contemporaneità di una serie tv di intrighi e di un loft newyorchese. Corpi che lottano ma che si abbracciano: Hitler sta preparando la Notte dei Lunghi Coltelli ed è contrastato da un’oscillazione di odio e amore per Rohm, croce e delizia della sua ascesa al potere.

Una nuova lotta-abbraccio vede uno scontro incontro tra Strasser e Rohm. L’anima di sinistra e di destra del nazionalsocialismo tedesco provano a non reprimere l’istinto, la forza primigenia della rivoluzione a cui hanno dato corpo e mente. Lo spirito cameratesco e la fedeltà del capo delle SA lo acceca, gli impedisce di capire quello che invece l’anima socialista e internazionalista di Strasser coglie con lucidità. Hitler per diventare Fuhrer si libera dei nemici e con l’aiuto del capitalismo di cartello di Krupp si accredita alla nazione come l’uomo della pace e della moderazione, il Messia che fa risorgere l’economia dopo la pugnalata alle spalle.

Il capitale che porta in equilibrio lo status quo è rappresentato allegoricamente dall’imprenditore che diventa quasi psicanalista, che detta le condizioni di repressione degli istinti della rivoluzione, che rende schiavo il regime nei confronti delle logiche del mercato della guerra. Hitler, nonostante l’ascesa, si infiacchisce e si umilia contenendo le sue pulsioni, che guarda con occhio periferico, confinate al silenzio.

L’uomo che con la propria forza doveva cavalcare le onde della storia nella lettura di Adriatico si appassisce come un democristiano qualunque che ha piegato la sua violenza e la sua tensione agli interessi della grande industria che ha contribuito a portarlo al potere. Perde il suo vigore e si riduce ad un esecutore che cede alla tentazione del compromesso, simboleggiata dalla mela addentata, e fa l’elogio delle politiche moderate. È la storia dei nazifascismi del Novecento che dopo un esordio proletario e popolare sono diventati i paladini dell’interesse dei grandi monopoli industriali e agrari.

Le scelte degli abiti e dei costumi acquistano una valenza profondamente simbolica. Strasser è l’unico a non tingersi di nero: il suo bianco evoca quasi l’agnello sacrificale, sublima il sacrificio del popolo agli interessi del capitale. Nella sfida con Rohm soccombe fisicamente, in qualche modo anche evocando una umiliazione di genere, nella migliore contrapposizione tra maschile e femminile della retorica nazista.

Sala piena e commenti positivi: molto apprezzata l’idea di scavare in maniera storica e psicanalitica sul retrobottega del potere. Molto forte l’impatto visivo nella scelta di traslare le dinamiche da caserma nel patinato lusso quasi termale della piscina. Ben calibrato il contrappunto delle citazioni per sottolineare la ferocia razzista ma anche la spregiudicatezza umana. L’Hitler della lettura di Adriatico non lascia spazio a romanticismi cameratisti e diventa un caso di studio sulle dinamiche di potere e sottomissione, interiori e collettive.