Dogtooth, il film che ha fatto conoscere Lanthimos, arriva anche in Italia

Dall'autore de La Favorita, un'opera disturbante e significativa

Cosa: Dogtooth – Kynodontas, recensione del film in sala Regia: Giorgos Lanthimos Cast: Christos Stergioglou, Michele Valley, Angeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis Quando: in molte sale italiane dal 27 agosto 2020; a Bologna al Rialto Studio e Uci Cinemas Meridiana

Dogtooth – Kynodontas, il film che dal 2009 ha cominciato a far girare per il mondo il nome dell’autore greco Giorgos Lanthimos, allora promettente e oggi affermato, arriva nel controverso anno 2020 anche nelle sale italiane.

Angosciante film a tesi, Dogtooth mette in scena una coppia di genitori che tiene i tre figli adulti, due femmine e un maschio, rinchiusi in una villa isolata; non costringendoli, ma educandoli semplicemente all’impossibilità di uscire, riconducendo ogni evento alla grandezza del microcosmo che li ospita, piegando anche il lessico alle proprie esigenze.

Dunque ogni essere che viva con la famiglia, anche un cane, viene dal ventre de La Madre, ogni interferenza esterna viene ridimensionata, come nel caso di un aereo scorto in cielo, spacciato per un giocattolo che può anche cadere in giardino, o ricondotta a una minaccia, così i gatti diventano nell’immaginario creature orribili, ghiotte di carne di bambino. Una parte del corpo ritenuta sconveniente, come la vagina, viene chiamata “tastiera”, eliminando così la parola inquinata dal suo significato, mentre a cose che possono e devono rimanere irraggiungibili, come il mare, viene negata l’esistenza e l’idea: il mare è una poltrona. In un’occasione il padre rivela che la finalità della reclusione consiste nell’impedire che i figli entrino in contatto con cattive influenze, ma l’educazione ritenuta adeguata, inevitabilmente, comporta costrizioni patologiche e malsane.

Kynodontas è un film disturbante ed esplicito, che prosegue freddo e silenzioso nel presentare la sua normalità malata, accumulando i giorni e le vicende della famiglia in cui nessuno ha un nome, e in cui si fa in modo che non si senta l’esigenza di averne.

Opponendosi alle storie che vedono nella famiglia, pur nella sofferenza, il nucleo degli affetti e il sostegno indispensabile per affrontare i dolori individuali, l’iperbole di Dogtooth mostra la natura ottusa, soffocante e morbosa dell’istituzione. Una costruzione applicabile per analogia a qualsiasi struttura, anche di dimensioni decisamente maggiori, a cui venga demandato (o che si arroghi) il compito, immancabilmente arbitrario, di costruire la nostra scala di valori, i nostri obiettivi e il nostro modo di concepire e consumare l’esistenza.

voto: 4 su 5

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here