Cosa: Blonde, una recensione Regia: Andrew Dominik, 2022 Cast: Ana de Armas, Julianne Nicholson, Bobby Cannavale, Adrien Brody Dove: Netflix
Viviamo un’epoca in cui la produzione e la fruizione di audiovisivi è mostruosa, pervasiva, frenetica. Eppure l’offerta quantitativamente imbarazzante ha creato un pubblico altrettanto gigantesco, un mercato che proprio per la sua enormità viene nutrito con prodotti vicini ai gusti più condivisi. Nell’epoca dell’onnipresenza dell’audiovisivo c’è un diffuso rigetto verso quelli che sono prodotti non del tutto conformi.
Blonde di Andrew Dominik è un film intimamente sgradevole, e un film bellissimo. Un’opera brutale con al centro Marilyn Monroe, ma non un film su di lei. Blonde è uno sguardo nichilista non solo sugli anni ’50 americani, ma sulla perversione del pubblico di ogni tempo, ed è principalmente questo che a gran parte del pubblico non va giù. La creazione di Marilyn è del tutto estranea alla volontà di Norma Jeane, non è Marilyn a creare il desiderio maschile, sono il desiderio e la violenza a creare lo specchio in cui esaltarsi. La colpa di Dominik è quella di aver svelato di cosa è fatta un’icona, dal desiderio esclusivamente egoistico di chi la costruisce: non c’è nessuna donazione, ma continua sopraffazione.
Dominik fa un cinema aggressivo, riporta l’impossibilità della protagonista di definire sé stessa riservando lo stesso trattamento allo spettatore, cambiando le luci, i formati dell’immagine, sconvolgendo le espressioni dei volti, rendendo il visibile qualcosa di diverso da quello che viene raccontato. Come in Mulholland Drive, la rappresentazione dello star system e l’ambizione di farne parte sono solo l’evidenza più immediata di uno smarrimento molto più ampio, intimo quanto comune a ciascuno, perché nato da pressioni che l’individuo, parte di un incubo condiviso, subisce e genera.
Contribuiscono, non poco, alla sostanza straniante del film le musiche di Nick Cave e Warren Ellis. Dominik è stato il regista dei due film di Cave One More Time with Feeling e This Much I Know to Be True, che sono a loro volta, assieme agli album da cui nascono, qualcosa di quasi ingestibile, un connubio fra dolore e arte che non ha niente di pudìco. Come la regia di Dominik ha dato immagine e movimento all’opera di Cave, le sonorità di diretta derivazione dall’album Ghosteen pervadono ogni scena di Blonde, contribuendo in maniera fondamentale a trasportare tutto in una dimensione impersonale, dove l’unico scopo dell’individuo sembra sia realizzare la propria negazione.