Cheatin’, grottesca storia d’amore dell’americano Bill Plympton, vince il Future Film Festival 2014

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In chiusura anche due mostri sacri dell’animazione giapponese: Hayao Miyazaki con l’attesissimo Si Alza il Vento e Short Peace di Katsuhiro Otomo

 

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Cosa: Future Film Festival 2014, recensione di Cheatin’, The Wind Rises e Short Peace
Dove: Cinema Lumière, via Azzo Gardino 65, Bologna
Quando: The Wind Rises sarà in sala dal 13 settembre


di Giuseppe Marino

 

Si è conclusa ieri la sedicesima edizione del Future Film Festival, che ha assegnato il Platinum Grand Prize al lungometraggio animato Cheatin’, opera dello statunitense Bill Plympton…

In chiusura anche due mostri sacri dell’animazione giapponese: Hayao Miyazaki con l’attesissimo Si Alza il Vento e Short Peace di Katsuhiro Otomo

 

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IN BREVE Cosa: Future Film Festival 2014, recensione di Cheatin’, The Wind Rises e Short Peace Dove: Cinema Lumière, via Azzo Gardino 65, Bologna Quando: The Wind Rises di Miyazaki sarà in sala dal 13 settembre Infohttp://www.futurefilmfestival.org/

 

di Giuseppe Marino

 

Si è conclusa ieri la sedicesima edizione del Future Film Festival, che ha assegnato il Platinum Grand Prize al lungometraggio animato Cheatin’, opera dello statunitense Bill Plympton. La motivazione della giuria: “per la sapienza plastica, la qualità pittorica, la fluidità dell’animazione, per le evocazioni della grande tradizione autoriale italiana: Mattotti, Toccafondo e Scarabottolo. Plympton, come succede ai grandi, è riuscito a trasfigurare la classica vicenda amorosa in una continua, originale, invenzione visiva ed emotiva, vincendo la scommessa di costruire un lungometraggio senza parole”.

Cheatin’ è l’espressione compiuta dello stile inconfondibile di Plympton, che al Future Film Festival era già approdato con il precedente Idiots and Angels. L’autore disegna a mano i suoi film, fotogramma per fotogramma, e racconta le sue storie senza far ricorso a dialoghi, ma creando mondi grotteschi e densi di simbolismi più o meno allucinati. Cheatin’ racconta una coppia in preda ad amore sfrenato, che soffre e si distrugge quando, con l’inganno, fra i due s’insinua il dubbio e la gelosia. Fra arie d’opera, musiche originali e significativi mugugni, Plympton disegna le sue maschere distorte, rese inafferrabili dai segni sottili che le compongono, sempre in movimento da una frazione di secondo all’altra. Il mondo di Cheatin’ è curvo e distorto, come ad osservare i personaggi attraverso una lente d’ingrandimento, e la realtà è fortemente influenzata dagli stati d’animo degli attori. Il film gioca molto sull’accumulazione, di situazioni, di metafore sessuali, di reiterazione dei sentimenti, e quando nella storia subentra un espediente fantastico, ci ricorda come negli occhi di ogni amante, in fondo, cerchiamo sempre lo stesso sguardo.

Le menzioni speciali sono andate a Tante Hilda!, di Jacques-Rémy Girerd e a Short Peace di Katsuhiro Otomo, Shuhei Morita, Hiroaki Ando e Hajime Katoki. Si è aggiudicato, invece, il premio per il miglior cortometraggio Mr. Hublot, di Laurent Witz.

Uno degli eventi più attesi del Festival è stata la proiezione, fuori concorso, dell’ultimo film di Hayao Miyazaki, il più celebre fra gli animatori giapponesi e padre dello Studio Ghibli. Con The Wind Rises – Si Alza il Vento, Miyazaki dichiara d’aver firmato il suo ultimo lungometraggio; si tratta di un lavoro complesso che conserva molte delle idee ricorrenti del maestro, distaccandosi comunque in maniera piuttosto radicale dalla produzione precedente, con un titolo che presenta tematiche e tempi che poco o nulla concedono al pubblico infantile, o all’animo fanciullesco del pubblico adulto, e tornado, dopo l’”istintivo” Ponyo, a un’animazione estremamente curata nei dettagli a nella resa realistica.

Attraverso la storia del progettista di aeroplani Jiro Horikoshi, Miyazaki riflette su di sé. Il protagonista incarna la passione per il volo e la dedizione al disegno, e la voce originale affidata non a un doppiatore professionista, ma all’animatore Hideaki Anno, rafforza ulteriormente l’identificazione e la fusione delle figure. Dal terremoto del 1922 alla fine della guerra, Si Alza il Vento segue Jiro: i suoi viaggi in Germania per studiare le tecnologie costruttive, i progetti e le intuizioni, il consolidarsi delle amicizie e la storia d’amore con Nahoko, ragazza malata di tubercolosi. Non si entra nella guerra, non si assiste a combattimenti aerei, ma si osserva un uomo guidato da una passione – nutrita da una dedizione totalizzante -, che più volte durante la pellicola sentirà il bisogno di essere giustificata. Jiro, infatti, progetta macchine da guerra, ma l’aereo, il volo, rappresentano per lui il sogno. La dimensione onirica subentra spesso nel film, ed è quella da cui nasce l’ispirazione e in cui è possibile realizzare macchine volanti non destinate alla distruzione. Ma se gli aerei sono sogni, il film ha un’anima anche più malinconica, perché con affetto rievoca il tempo e l’età in cui i sogni si concepiscono, si costruiscono i desideri; al di là del fatto che questi abbiano o meno la capacità di realizzarsi, il ricordo è una rievocazione delle possibilità, della vita nella sua pienezza e incertezza.

In un racconto vicino al cinema classico, denso di toni melodrammatici, Hayao descrive ancora il mondo come una creatura vivente e pulsante, assegnando alle azioni, gli oggetti e gli avvenimenti un respiro e dei suoni umani, come quando racchiude la potenza del terremoto in un urlo gutturale, o lascia sussurrare il vento e le ali dei suoi aerei – anche quelli di carta – che lo fendono. “Si alza il vento, bisogna tentare di vivere” è la citazione di Paul Valéry che apre il film, e che rimane il solco entro cui si muove.

Da un altro mostro sacro dell’animazione nipponica, l’autore del capolavoro cyberpunk Akira e di Steamboy, Katsuhiro Otomo, nasce Short Peace. La forma a episodi non è nuova per l’autore, che dei quattro segmenti dirige il secondo. Il primo episodio, Possessions, è il più pacificato, trattando proprio di riconciliazione. Un viandante si rifugia in una casa abbandonata durante un temporale, e affronta di buono spirito strani incontri e le prove che ne conseguono. Come un leggero haiku, l’episodio è un ponte verso i toni più drammatici di Combustible, dove lo stesso Otomo tratta una storie d’amore antico, con dei disegni estremamente efficaci ed eleganti, che rimandano alla tradizione di Hokusai (nel film citato in più occasioni), e chiude il tutto nella devastazione delle fiamme. Gambo è invece un racconto che, con l’evocazione di orribili demoni e forze naturali, richiama la favola horror. A Farewell to Weapons, infine, è la frazione di maggiore durata, e ci porta in un mondo postapocalittico. Fra le rovine di una città una squadra d’assalto, debitamente fornita di esoscheletri, assalta un tank automatizzato. Fra esplosioni e trovate spettacolari, si arriva a un efficace e amaro epilogo in stile Stranamore. Short Peace ha un buon ritmo e si avvale in maniera efficace di tecniche diverse, dal 3d alla resa del tratto manuale, avendo cura di strutturare dei richiami interni – fra cui la raffigurazione del monte Fuji, che appare in ogni episodio – e regalando un’efficace galleria sospesa tra futuro e tradizione.

7 aprile 2014

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