Il teatro è donna all’ITC Teatro San Lazzaro

L'intervista a Nicola Bonazzi per una stagione ricca di autrici e interpreti femminili, e di storie prese dalla narrativa, classica o contemporanea

Chi: intervista a Nicola Bonazzi ITC Teatro San Lazzaro Cosa: Stagione teatrale 2019/20120 Dove: Via Rimembranze, 26, San Lazzaro di Savena BO Programma e biglietti: itcteatro.it

Bologna, come città metropolitana, è forse più un desiderio che una verità realizzata. Eppure, per chi ama il teatro, è cosa praticamente fatta. Infatti, lasciandosi alle spalle il centro cittadino e muovendosi un po’ oltre, arrivando diciamo a San Lazzaro, ci troviamo davanti a una realtà produttiva e organizzativa fra le migliori in campo teatrale. Parliamo di ITC Teatro, da ventuno anni ottimamente gestito dalla Compagnia Teatro dell’Argine, che quest’anno ha già aperto i battenti.

Ottobre è un mese nuovo per questo teatro, che però ha voluto utilizzarlo a mo’ di “riscaldamento”, prima della vera partenza. “Idealmente la nostra stagione apre il 9 novembre con La scimmia, pièce portata in scena da Giuliana Musso” avverte Nicola Bonazzi, componente storico della compagnia.

Il primo mese autunnale ha visto passare sulle assi del palco Ovvero io, esito del laboratorio teatrale condotto da ITC insieme alla compagnia Gli amici di Luca. Ed è un mese che a breve (giovedì 17 ottobre alle 21) vedrà passare Mario Perrotta con Emigranti esprèss. “Perrotta è un mio fratello” dice sempre Bonazzi. “Mi fa piacere riaverlo in teatro con un lavoro tratto da due suoi e anche nostri cavalli di battaglia, Italiani Cincali e La turnàta”.

È a novembre che però si accende la miccia principale e parte la ventunesima stagione teatrale di ITC, sotto il titolo de L’inimmaginabile è immaginabile. Divisa in tre sezioni (Teatro, Solo all’ITC e Non solo teatro) si presenta ricca di spettacoli teatrali come anche di incontri e appuntamenti speciali, tutti indirizzati a “ridare centralità alle storie, alle persone, alle storie delle persone”.

Sfogliando fra gli appuntamenti, ci si accorge di come vi sia una discreta presenza di drammaturgie che prendono spunto o rimaneggiano opere narrative preesistenti, classiche o contemporanee. Colpisce ancora di più come la centralità di storie e di persone acquisti nel cartellone una polarità femminile di non poco conto. Su ventiquattro spettacoli ben tredici sono opera o vengono agiti da donne. Un bel segnale.

Tenendosi stretti a solo alcuni nomi, oltre a Giuliana Musso troviamo Lella Costa con Questioni di cuore (16 novembre). Subito dopo vengono Elena Bucci con il suo testo Nella lingua e nella spada (18 gennaio); Qui e Ora Residenza Teatrale, ovvero Francesca Albanese, Silvia Baldini e Laura Valli, che propone I will survive (29 gennaio); Carla Peirolo insieme a Bintou Ouattara e Irene Laponi con Da madre a madre (11 febbraio); Clara Sancricca che, come regista, interprete e ideatrice per Controcanto Collettivo, è presenza attiva in Settanta volte sette (29 febbraio).

Abbiamo chiesto proprio a Nicola Bonazzi se portare più attrici e autrici e registe nella stagione fosse stata una volontà di ITC o pura casualità.

«Metà e metà» la risposta. «Se da un lato il caso gioca le sue carte, dall’altro c’è una volontà di lavorare con delle attrici e delle autrici che ci interessano. Credo però che le artiste donne siano state capaci di intercettare con una sensibilità tutta loro, molto forte, forse più dei colleghi maschi, le storie della contemporaneità. Storie che interessano il pubblico in un raggio vasto. Penso al Questioni di cuore con cui Lella Costa sta facendo una tournée incredibile, raccontando la posta del cuore di Natalia Aspesi. È evidente che vai proprio nel cuore delle persone non solo come elemento sentimentale, ma dentro la loro vita. Vi è una empatia molto forte verso le persone e le loro storie che credo pertenga tutta all’animo femminile».

Quale è stato allora il criterio seguito per selezionare gli spettacoli che compongono questa nuova stagione?

«Se da una parte devo dirmi molto soddisfatto nel poter ospitare degli artisti molto importanti all’interno del teatro italiano, non posso negare come sia sempre più difficile selezionare dei buoni spettacoli. Bologna è città piena di teatri che fanno cose importanti. Voglio dire che ci troviamo davanti a un panorama teatrale impensabile da chiunque fino a pochi anni fa. Posso riassumerlo con la frase “Molti spazi propongono molti spettacoli di qualità”. Sta diventando quindi difficile pensare a una programmazione. Meglio: bisogna andare a pescare dove altri teatri non sono già passati. Basti pensare all’Arena del sole. Da quando è diventata ERT e, ancor di più, da quando la direzione è passata a Claudio Longhi, si assiste a una “bulimia” di spettacoli. Parlo di un tipo preciso di spettacoli – quelli che hanno a vedere con la ricerca e con la nuova drammaturgia – di cui da sempre ci eravamo occupati e che ora è anche nel loro cartellone».

La vede come una invasione di campo?

«No, assolutamente. Questo anzi è un atteggiamento che trovo molto bello. Credo contribuisca a fare di Bologna una eccellenza in Italia. Ora Bologna, quasi come Milano, è davvero una città importante per il teatro. Quindi che ci siano tanti luoghi e realtà che operano così bene sul nuovo teatro, è un volano. Che sia però più difficile accedere ad alcuni spettacoli cui prima potevamo accedere con maggiore serenità, questo sì».

Come si procede in uno scenario così mutato?

Stiamo con le antenne ben puntate sugli artisti che ci interessano. Guardiamo i festival, guardiamo fuori regione alle stagioni dei teatri che portano avanti un lavoro affine alla nostra idea. Come in passato, molto spesso sono le stesse compagnie a contattarci. Questo è il lavoro che portiamo avanti di concerto io e Giulia Musumeci, che è l’organizzatrice della Compagnia dell’Argine. È un lavoro davvero molto impegnativo. Perché far tornare i conti non solo a livello di budget, ma anche sulla scacchiera degli appuntamenti, è davvero complicato.

Nel cartellone si contano otto drammaturgie che provengono da opere narrative classiche o contemporanee, non da drammaturgie originali. A suo avviso, questa è una tendenza, un dato assodato nel teatro italiano contemporaneo, una ennesima casualità?

«È un elemento molto interessante, su cui non avevo riflettuto. Credo sia casuale. E che non ci sia una volontà da parte del mondo del teatro di avvicinarsi a opere narrative già esistenti per carenza di idee. Spesso il cinema si rifà ai testi narrativi reinterpretandoli. Il teatro, quando va a pescare in storie che esistono già, siano classiche o contemporanee, lo fa con una consapevolezza molto più forte, dandosi la possibilità di leggere quelle storie con gli occhi della contemporaneità. Penso, per esempio, a Nel ventre, che la mia compagnia mette in scena in chiusura di stagione, il 27 e 28 marzo. È tratto dal romanzo di Sergio Claudio Perroni, adattato da Stefano Panzeri e vi si rilegge l’Iliade. In realtà quello che si racconta è della necessità di scegliere e della paura del doverlo fare, attraverso quanto si dicono i soldati greci rinchiusi nel ventre del cavallo in legno con cui entreranno nella città di Troia».

Un reinterpretare e spingere il passato nel futuro?

«Il teatro assume storie del passato, narrazioni del passato, per darle al proprio pubblico con un occhio totalmente odierno. Mi viene in mente Shakespeare nostro contemporaneo, il libro di Jan Kott. Come dire: nelle grandi opere del passato trovi sempre qualcosa che te le rende vicine all’oggi. Ecco, diciamo che il teatro lo fa in una misura ancor più forte e palese del cinema. Basta pensare a Roberto Latini, che porta da noi In exitu. Lo ha tratto dal romanzo omonimo di Giovanni Testori, uno dei più grandi scrittori e drammaturghi della seconda metà del Novecento italiano. Oppure lo fa con lo sguardo puntato, immerso nell’oggi. Così è possibile leggere il lavoro di Margherita Saltalamacchia e Giampaolo Musumeci, che con Io, trafficante di uomini, tratto dal reportage omonimo di Musumeci, raccontano il mercato degli schiavi che sta dietro al dramma dei migranti».