Recensione di Quai Ouest

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Lo spettacolo di Andrea Adriatico in scena fino al 9 giugno a Teatri di Vita

 

quai-ouest-teatri-di-vita post01Chi: Andrea Adriatico sul testo di Bernard-Marie Koltès
Cosa:
spettacolo teatrale “QuaiOuest”
Quando: 30 maggio-2 giugno e 4-9 giugno
Dove: Teatri di Vita, via Emilia Ponente, 485
Info: qui (lo spettacolo è all’aperto)

di Cristian Tracà

 

Il QuaiOuest di Koltes che Andrea Adriatico cala in una dimensione di grottesco poetico, vive di una regia che incastra a perfezione un incrocio di linguaggi seducenti: tutto si gioca…

Lo spettacolo di Andrea Adriatico in scena fino al 9 giugno a Teatri di Vita

 

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IN BREVE Chi: Andrea Adriatico sul testo di Bernard-Marie Koltès  Cosa: spettacolo teatrale “QuaiOuest”  Quando: 30 maggio-2 giugno e 4-9 giugno  Dove: Teatri di Vita, via Emilia Ponente, 485  Info: qui (lo spettacolo è all’aperto)

 

di Cristian Tracà

 

Il QuaiOuest di Koltes che Andrea Adriatico cala in una dimensione di grottesco poetico, vive di una regia che incastra a perfezione un incrocio di linguaggi seducenti: tutto si gioca su una sconvolgente profondità di campo, con la moltiplicazione policentrica delle prospettive e dei punti di fuga che però conduce sempre alla negazione della via d’uscita e dell’altrove, che come una calamita crudele legai dinamismi sociali all’ereditarietà delle colpe presunte, senza concedere oasi in un deserto di speranze.

Non ci sono scaglie palpitanti di mare al di là dei cocci aguzzi di bottiglia, rappresentati dalla prigione di mura squassate dal degrado e dall’abbandono, che costituiscono l’unica cristalizzazione materiale in mezzo al nulla: l’uomo del disincanto si infrange in maniera coatta con la sua brutale immanenza, non ha paura del buio e della notte, anzi le ha edificate a regno del piacere e della sopravvivenza, abisso in cui cala persino l’asso della sua componente più ludica e sensuale: basti vedere come si stagli in questo orizzonte il personaggio conturbante interpretato da Maurizio Patella, ormai una presenza costante negli spettacoli di Adriatico.

Non c’è trascendenza: anche l’acqua, di solito elemento rigenerante, porta con sé solo la semiosi della morte per annegamento: in questo caso la spirale verso l’oblio del suicidio-omicidio di un uomo dell’alta società, strozzato dalle angosce del capitalismo competitivo, le cui vesti sono sbranate e affidate ad un gioco di sorte peggio del Cristo raccontato dai Vangeli, a cui non viene concessa, nemmeno in punto di morte, la serenità di essere guardato per quello che è, piuttosto che per quello che ha e possiede.

Non basta nemmeno quell’affascinante Something in the way dei Nirvana, quasi un leit-motiv da ‘fighissima’ serie tv americana noir, né la trovata geniale di un sole straniante che getta una luce di irrazionale lirismo ad un paesaggio condannato a non potersi autoriflettere per via dei suoi abissi di negazione, a placare il grido di dolore, lancinante per la magnifica Olga Durano, che svetta per famelicità tra tutti i personaggi presenti in scena.

La struttura narrativa sempre aperta e spiazzante, complice un permanere in condizioni di poca visibilità che è metaforico della miopia della precarietà, con i continui cambi di focalizzazione, sembra quasi volerci abbandonarci alle incognitenel fetore di tenebra verso cui scendiamo senza orrore, consapevoli che, baudelarianamente parlando, si tratta di un inferno, rimosso e nascosto, così come quella periferia marginale suburbana che pullula di storie e umanità, che sfuggono allo scatto pregnante delle immagini da cartolina delle città.

Non è il mondo del progresso e del contratto sociale, qui l’uomo è lupo per l’uomo e le trattative risuonano nel pozzo del mercato nero e della sopravvivenza a breve termine, del difficile equilibrio di forze che brutalmente schiaccia i protagonisti di questo sottobosco. Narrativamente questo microcosmo perverso conferisce adrenalina e appeal a questa dinamica continua più di ombra che di luce, fino a quell’estremo dell’indecifrabile, inconfessabile sensazione di fascino per le cose ripugnanti.
Seguiamo i personaggi per un breve tragitto, senza perderci in genealogie di trame a lungo raggio, assecondando la vita di brevissima prospettiva della periferia, lì dove ci si difende con le unghie e con i denti, lì dove le inquietudini si scaricano verso l’estraneo, il diverso, lo straniero. Di qui la scelta della presenza quasi muta dell’immigrato, àncora per l’ostinazione alla chiusura.

Uno spettacolo che getta prospettive di nuova concezione dei luoghi, che scardina i confini del teatro e parla di complessità alla città da uno dei suoi luoghi più simbolici dal punto di vista delle dinamiche di una inclusione sociale dei nuovi cittadini ancora tutta da realizzare, in un momento in cui non si trova ancora la strada per vedere la luce fuori dal bosco e l’altro sembra condannato a rimanere solo una minaccia.

 

03 giugno 2013

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