Bologna s’industria: la mostra racconta come eravamo, utilizzando la fotografia come “sovragenere artigianale”

Il “miracolo economico bolognese”, dal dopoguerra agli anni Settanta, attraverso 110 fotografie del fondo Fotecnica

IN BREVE Cosa: Bologna s’industria Dove: Biblioteca d’arte e di storia di San Giorgio in Poggiale, via Nazario Sauro 20/2, Bologna Quando: 15 ottobre 2019 – 15 gennaio 2020 Orari: mar. 9-17; sab. e dom. chiuso; tutti gli altri giorni 9-13 Costo: ingresso gratuito

C’era un grande fermento nella Bologna post secondo conflitto mondiale. Soprattutto a livello di industrializzazione. Un fermento che si strutturerà velocemente in modo ben diverso da quello lombardo. Niente grandi fabbriche, ma fabbrichette, che hanno la loro ascendenza nelle botteghe artigiane di fine Ottocento. La componente artigianale è quindi molto forte e connota il lavoro della piccola e media impresa sviluppatasi in quel periodo a Bologna. Era un modo di lavorare che seguiva perciò le massime dell’adattamento e della flessibilità verso il mercato, offrendo una forte specializzazione del prodotto insieme a un veloce apprendimento per quanto riguarda l’aggiornamento tecnologico.

Di tutto questo ci si rende conto visitando la mostra Bologna s’industria. La rinascita economica dal secondo dopoguerra agli anni ’80 nelle immagini dell’archivio Fototecnica. Curata da Cinzia Frisoni e organizzata dalla Fondazione Carisbo e da Genus Bononie viene ospitata negli spazi di San Giorgio in Poggiale, via Nazario Sauro 20/2, fino al 15 gennaio 2020.

Lungo il suo percorso espositivo è possibile ammirare 110 scatti, rigorosamente in bianco e nero, che documentano la propensione creativa del bolognese al settore industriale. Suddivisa in dieci sezioni tematiche, propone uno spaccato complessivo e chiarificatore di quanta e quale fosse la varietà produttiva bolognese, di come essa abbracciasse sia il settore meccanico sia quello agroalimentare, quello radioelettrico e quello chimico-farmaceutico. Inoltre, le sezioni della mostra permettono al visitatore di rendersi conto di come l’industria bolognese nel dopoguerra fosse al passo coi tempi.

A produrre queste immagini, il lavoro di quattro operatori: Albuccio Arcani, Tiziano Calza, Sigfrido Pasquini, Pietro Roda. Tutti e quattro si formano presso lo storico studio Villani per poi mettersi insieme nel 1948, fondando la Fototecnica Artigiana. Il nome dello studio la dice già tutto sul come i quattro intendano approcciare il mezzo fotografico. Il loro intento è cioè da subito quello di non fare arte, come precisa la curatrice, ma di indirizzarsi verso la committenza industriale.

E di fatto Bologna s’industria racconta questo tipo di approccio, cioè di come Fototecnica intendesse la fotografia come “sovragenere artigianale”, quindi mirasse a eseguire un compito, a mostrare la funzione dell’oggetto ripreso, a lasciare che la sua bellezza arrivasse (se arrivava) come ultima cosa. Anche per questa sua precisa caratteristica «la mostra scorre in maniera fluida per tutte le sue dieci sezioni» come afferma Cinzia Frisoni, «divisa per categorie visive e per tendenze dell’industria bolognese». Si parte con la sezione dedicata ai “Luoghi”, cioè «alle sedi ricostruite o ai nuovi insediamenti che lasciano il centro storico», per proseguire con quelle dedicate a “Lavoro”, a “Cataloghi e campionari”, a “Infanzia”, “Visibilità”, “Arredo”, “Pubblicità”, “Moda e Bellezza”, “Macchine” e chiudersi con “Mobilità”. In quest’ultima fanno bellissima mostra otto immagini di altrettante motociclette. Sono marche storiche, che oggi praticamente non esistono più, ma che hanno portato in giro per l’Italia e il mondo l’abilità dei meccanici bolognesi.

Per comprendere al meglio la “non artisticità” delle immagini e, d’altro canto, la loro modernità offerta dalla composizione visiva dell’inquadratura, bisogna partire dal presupposto che le varie industrie le commissionavano per i propri cataloghi di vendita. Dovevano essere quindi funzionali alla vendita del prodotto e null’altro. L’arte, se entra nel lavoro dei quattro della Fototecnica, lo fa come fotografia esplicativa di oggetti d’antiquariato e quadri. Settore che però non viene proposto all’interno del percorso espositivo.

«Quanto viene offerto al pubblico» afferma Frisoni, «è il primo risultato del restauro ancora parziale di quello che è l’archivio fotografico di Fototecnica». Un archivio importante, composto da circa quarantamila negativi su lastra di vetro. «Per arrivare a esporre quanto è presente nelle teche, abbiamo selezionato, pulito, digitalizzato, ma anche conservato e catalogato cinquemila negativi. Il frutto di un intero anno di lavoro. Per il prossimo anno, verranno lavorate altre cinquemila lastre.»

L’archivio della Fondazione Fototecnica è conservato nei depositi della biblioteca di San Giorgio in Poggiale. La foto che lo ritrae, presente anche nel catalogo abbinato alla mostra (Sesto Quaderno della biblioteca, €10), fa ben comprendere la quantità di materiale in esso raccolto, di cui è oltretutto ancora impossibile conoscere il contenuto. La documentazione cartacea è infatti molto parziale.

«L’archivio» sottolinea a questo proposito Frisoni, «è come una enorme pila di scatole al cui interno non si sa cosa si può trovare».

Di certo in questa mostra fotografica, aperta gratuitamente al pubblico, si può ammirare quello che eravamo, ovvero il senso di un lavoro mirato alla praticità, alla funzionalità, all’utilizzo, per come si potesse intendere allora. Evidente che il paragone con il passato renda cocenti alcune considerazioni sulle condizioni in cui versa la nostra attuale industria.