Andrea Pazienza, Fino all’estremo. La mostra a Bologna

L’opera di un genio inossidabile in esposizione a Palazzo Albergati

andrea pazienza mostra bologna 2021

CHI Andrea Pazienza. Fino all’estremo COSA Retrospettiva DOVE Palazzo Albergati, via Saragozza 28 QUANDO fino al 26 settembre 2021 ORARI lun-ven 15-20; sab-dom e festivi 10-20 (la biglietteria chiude un’ora prima) BIGLIETTO € 12, € 10 info palazzoalbergati.com arthemisia.it

Andare per mostre, a Bologna, finalmente.  Il consiglio è di visitare Fino all’estremo, la retrospettiva dedicata all’opera di Andrea Pazienza in Palazzo Albergati.

Il consiglio è spassionato, perché si tratta di una mostra importante. Prima di ogni altra cosa perché segna il ritorno alla visibilità di molte opere prodotte da questo genio indiscusso del fumetto.

Se infatti sono trascorsi pochi anni da Andrea Pazienza. Trent’anni senza, esposizione allestita al Mattatoio di Roma nel 2018 per commemorare il trentennale della morte, ne sono passati ben ventiquattro dalla grande antologica a lui dedicata.

Era il 1996 e ad ospitarla era sempre Bologna, negli spazi di Palazzo Re Enzo. Un omaggio potente della città, dove lo stile di Pazienza si era formato ed evoluto, alla memoria di questo artista.

A rinverdire la memoria delle opere e del suo legame con il capoluogo felsineo, ci pensa adesso Fino all’estremo, esposizione di oltre cento fra i suoi lavori, in special modo tavole tratte dalle storie apparse su “Alter Alter”, “Comic Art”, “Frigidaire” ecc.

Visitabile dal 7 maggio al 26 settembre 2021, la mostra occupa tutto il piano terra di Palazzo Albergati, in via Saragozza 28, offrendo il percorso circolare cui oramai siamo abituati. Prodotta e organizzata da Piuma in collaborazione con Arthemisia e curata da ARF! – Festival di storie, segni & disegni attraverso il lavoro di Mauro Uzzeo e Stefano Piccoli, riprende il titolo di lavorazione di quello che sarebbe poi diventato Gli ultimi giorni di Pompeo, per molti apice del lavoro dell’artista pugliese.

«Abbiamo deciso di intitolarla così perché volevamo fosse “fino all’estremo” dal punto di vista grafico, visivo. Che aggredisse il visitatore, come fa Pazienza in ogni suo fumetto» afferma Uzzeo. «Volevamo fosse un vero e proprio assalto frontale al pubblico che la visita, per la maestosità e la varietà dello stile con cui si presenta sempre Andrea e la sua opera, ma anche dal punto di vista dei contenuti.»

L’intera Fino all’estremo si basa sugli archivi delle persone che più sono state vicine ad Andrea Pazienza. La maggior parte di quanto esposto proviene da quello della moglie Marina Comandini, quasi tutto il resto da quelli di Elisabetta Pellerano, Marina e Michele Pazienza. A questi ultimi appartiene forse una delle poche immagini veramente “rare”, quel Corteo a Bologna che si trova nella “anticamera/camera di compensazione” posta fra ingresso e uscita della mostra. Una immagine che restituisce tutta intera la capacità di condensazione del disegno di Pazienza: il reale amalgamato al grottesco caricaturale, all’ironia e altro ancora.

Dicevamo della disposizione circolare. Per Fino all’estremo il percorso nel corpo della produzione pazientiana muove a ritroso nel tempo in modo quasi perfetto. Se, come detto, si parte da Pompeo, pubblicato fra il 1984 e il 1986, la chiusura spetta a Le straordinarie avventure di Pentothal, uscito fra il 1977 e il 1981. Nel mezzo, muovendosi dalle tavole di Pertini a quelle dell’incompiuta Astarte, compare l’immenso (al pari di Pompeo) Zanardi.

«Sono le tre stanze fondamentali della mostra» dice Uzzeo. «Abbiamo deciso di partire da Pompeo perché, per quanto non sia l’ultima opera in assoluto di Pazienza, è però vista da tutti come il suo testamento artistico e spirituale. Forse perché molti ritenevano Pompeo una sorta di suo alter ego.»

La prima sala è comunque quella dove l’impatto emotivo per alcune tavole di questo fumetto si combina con una inusitata elaborazione interpretativa. Vengono infatti giustapposte alle quattordici tavole che compongono il ciclo della via Crucis creato a metà del Settecento da Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista. I due lavori dialogano fra loro ed è quello di Tiepolo che permette di guardare al racconto di Pazienza in un modo non canonico né standardizzato.

«Partiamo dal concetto di “resurrezione”, che entra solo di recente nella rappresentazione della via Crucis» dice Uzzeo. «In genere essa si conclude sempre con la morte del Cristo. È quanto avviene anche in Tiepolo. Siccome Pompeo appare nel suo complesso come una via Crucis senza resurrezione, abbiamo deciso di accostare i due lavori.» Quello che ne viene fuori è un rafforzamento della tematizzazione interna alla storia di Pazienza.

A scorrerne le tavole esposte, è immediatamente visibile come sia stato realizzato con mezzi a volte poverissimi, quali il pennarello e la carta presa da quaderni a quadrettoni. Un modo di lavorare tipico per Pazienza, qui capace di sottolineare l’importanza, l’urgenza, la furia del racconto rispetto a quella del supporto.

Come dice anche Adriano Ercolani nella scheda Pompeo, una via Crucis senza resurrezione, la “confessione poetica dolente, colma di strazio e angoscia” si contrappone a un confronto con la Morte che “è insieme corteggiata e temuta, evocata con ardore erotico fino all’atterrita, e letterale, contemplazione dell’abisso”. Tutto il contrario del Tiepolo in cui “la Morte viene accolta serenamente come una tappa necessaria dell’esistenza”.

«Però se si guarda la copertina di Pompeo, vediamo il personaggio rappresentato come icona “cristologica”» dice Uzzeo. «La testa è contornata da una aureola dove sono inseriti vari simboli “laici”. Ragion per cui accostare Pompeo all’opera del Tiepolo non è un esercizio o una provocazione meramente intellettuale. È proprio mettere in parallelo il racconto di due via Crucis senza resurrezione. Apparentemente. Perché Pazienza, aggiungendo una pagina finale, ci racconta di una idea di rinascita. Ecco allora che le due opere dialogano e e si può leggere il lavoro di Paz sotto un’altra luce.»

In effetti, se Pompeo somiglia molto a una via Crucis dove il personaggio principale si trascina verso la morte, solo con la tavola finale è possibile interpretare il lavoro “come il compimento del suo percorso artistico, fino a quel momento”, per dirla con Ercolani. Si chiude (muore) un certo modo di vivere e si risorge a una nuova vita, umana e artistica.

La pagina finale di Pompeo sembra essere una postilla, una correzione, una presa di coscienza e di distanza. Un simile abbinamento, però non così ardito, lo si troverà nella sala conclusiva (quasi un rispondersi delle varie epoche creative dell’autore), dedicata a Pentothal. Qui i lavori “giovanili” di Pazienza vengono messi in dialogo con gli scatti del “fotografo del movimento del ’77 bolognese” Enrico Scuro. Sono tutte immagini «che raccontano in presa diretta la rivoluzione studentesca e la delinquenza minorile dei ventenni figli dell’alta borghesia in quell’epoca» spiega Uzzeo. «Abbiamo accostato a quelle scene di violenza, che dall’Angelo Izzo del massacro del Circeo porta ai fratelli Bianchi di Colleferro, le tavole di Pazienza, che questo tessuto delinquenziale un po’ metteva in scena.»

Comunque, superata la prima sala, dove al visitatore è richiesto di non essere mero spettatore ma di “ragionare” sul senso dell’opera, il resto di Fino all’estremo scorre lungo la pista regressiva del lavoro artistico di Pazienza. Ci si muove sempre ammirati fra l’epopea di Zanardi (da cui ancora emana la nitida coscienza di cosa era quel periodo a livello sociale e umano), la bellezza narrativa dell’incompiuta Astarte, gli estratti dal felicissimo Pertini, l’incursione nelle avventure settantasettine di Penthotal e tanto altro ancora.

Per chi ha consumato le opere di questo autore, tutte pubblicate da Coconino Press, è un bellissimo, nuovo incontro. Anche perché, come dice Uzzeo, «sicuramente vogliamo far contenti gli appassionati di Paz, che si ritroveranno davanti tavole iconiche, ma soprattutto tavole che non vengono esposte da ventiquattro anni.» Come i lavori in cui viene ritratta Elisabetta “Betta” Pellerano, quali Betta sullo squalo e Betta con leopardo, per fare due esempi. Secondo Uzzeo, la loro bellezza «vale da sola il biglietto della mostra» oltre, appunto, ai ventiquattro anni di assenza da qualsivoglia esposizione.

Sono inoltre tutti materiali che sembra abbiano risentito pochissimo dell’usura del tempo. Se si pensa ai decenni trascorsi da quando sono state create e ai materiali utilizzati dall’artista, non era cosa da dare per scontata.

Comunque, la mostra è stata pensata «in particolare per chi oggi viaggia tra i diciassette e i vent’anni, cioè coloro che non hanno mai incrociato il lavoro di Pazienza o tutt’al più ne hanno solo sentito parlare. Serve a far vedere loro che artista e narratore incredibile fosse, a far capire quanta influenza ha avuto su molti autori delle generazioni successive.»

Su Gipi, per dire. «Se si leggono lavori come Sogni o Il perché delle anatre, si vede tantissimo la consonanza fra i due». O anche in autori inconsapevoli, come Zerocalcare. «Ha sempre dichiarato che Pazienza non è un suo punto di riferimento. Però, quando leggi i Diari, è impossibile non rivedere l’approccio presente in Pentothal

Quel lavorare parallelo alla realtà che l’artista pugliese mette su tavola proprio in Pentothal – mentre Zanardi è il percolato dell’aria che tirava negli anni Ottanta: porta aperta al privato, all’egoismo, al cinismo esploso nella società italiana – è in qualche modo un antesignano di quello oggi viene definito graphic journalism.

«Certamente, sì» conferma Uzzeo. «Aggiungo però che Pazienza con le sue tavole racconta la vera forza del fumetto, cioè la sua assoluta libertà comunicativa. La dico da fumettista: mai prima e mai dopo di lui c’è stato un autore che ha fatto vedere in quanti modi ci si può esprimere con la Nona arte. Per me il suo lavoro è l’equivalente del flusso di coscienza proposto in Infinite jest da Foster Wallace. Un continuo flusso emotivo che credo continui a sconvolgere il lettore, oggi come all’epoca.»

Sono tutte cose che si possono intuire muovendosi per le sale della mostra. L’incessante cambio di registro stilistico che Pazienza utilizza in maniera così fluida, naturale, è qualcosa che difficilmente si può ritrovare in altri autori. Forse nell’inizialmente emulato Moebius, forse in qualcosa del primo Manara, comunque mai in maniera così continuativa, tanto da diventare nel nostro potente elemento stilistico.

«È qualcosa che nel rigore del fumetto “normale”, da Bonelli a Disney, non potrebbe rientrare né essere accettata» dice Uzzeo.

Dalla galleria di materiali in esposizione, Pazienza si proietta sul visitatore per quello che è: un genio. Ma anche un maestro senza un vero seguito, almeno in questa sua totale libertà di scrittura, in questo libero “deragliare” nella composizione delle tavole e dello storytelling.

«Beh, per farlo devi essere appunto un genio» commenta Uzzeo.« In Pazienza la cosa che stupisce sempre è l’enorme consapevolezza di quello che fa. E questo te lo puoi permettere solo se sai, se hai coscienza, di avere in mano tutti gli strumenti. I lavori di Andrea mi fanno immaginare un confronto fra lui e un pittore estremamente bravo. Se questo ha una tavolozza di cento colori, quella di Pazienza ne ha diecimila. Non solo: li usa tutti, perfettamente. E non solo dal punto di vista del disegno, ma anche della china, del colore e da quello della scrittura.»

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