Everywhere Everything all at once: ai confini del multiverso

La famiglia e il caos al centro del nuovo lavoro dei Daniels

CHI: Everywhere Everything all at once COSA: intervista DOVE: al cinema dal 6 ottobre

Un film da mal di testa, Everywhere Everything all at once. Un bellissimo mal di testa. Come bellissimo è stato incontrare dal vivo Ke Huy Quan, durante la conferenza stampa bolognese di presentazione del film distribuito da I wonder picture. Insieme a lui il produttore del film Jonathan Wang.
Firmato dai Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) al loro secondo lungometraggio, il film è un rutilante meccanismo narrativo-citazionistico al cui centro sta non tanto il bagel della dissoluzione (vedete e capirete) quanto il concetto di famiglia, il suo essere luogo perso alla relazione e all’ascolto. Cosa che, inconsapevolmente, i suoi componenti vogliono recuperare. Il multiverso, non Marveliano, in cui sono immersi i personaggi è il veicolo per arrivare a una ricomposizione in chiave contemporanea proprio della famiglia. Che in Everywhere Everything all at once è asiatica e gestisce caoticamente una lavanderia.
Quan interpreta il ruolo di Waymond, il sensibile marito di Evelyn Wang nonché padre di Joy (Stephanie Hsu), che ha un doppio potentissimo ruolo nella trama-non-trama di questo lavoro dei Daniels. Alla grande Jamie Lee Curtis (a breve nuovamente nel franchise slasher Halloween) è affidato invece un ruolo da cattiva fuori dall’ordinario: una trasandata e minacciosa impiegata dell’ufficio imposte.
Se Evelyn ha le fattezze di Michelle Yeoh, stampata nella memoria almeno per La tigre e il dragone, Quan ce lo ricordiamo solo come ragazzino nei Goonies (Data) e in Indiana Jones e il tempio maledetto (Short Round).

Cosa l’ha tenuto lontano dalle scene per così tanto tempo?
«In effetti ho cominciato a lavorare a Hollywood negli anni Ottanta come attore bambino avendo la fortuna di lavorare con grossi registi come Spielberg e Lucas. Solo che poi sono rimasto bloccato in quel ruolo, non sono riuscito a fare il salto a diventare un attore e basta. Oltretutto avevo a mio sfavore il fato di essere asiatico e per lungo tempo ho faticato moltissimo a trovare dei ruoli per attori asiatici, ruoli che avessero un senso. Ho letto un sacco di sceneggiature nel corso del tempo, ma gli attori asiatici avevano sempre dei piccoli ruoli, non fondamentali. Quindi magari c’erano quattro cinque battute per dire tanto. Ragione per cui ho portato avanti la professione di coreografo, lavorando anche dietro la macchina da presa.»

Una lunga pausa da cui possiamo dire è uscito grazie a Everywhere Everything alla at once.
«Mi sono trovato davanti questa sceneggiatura finalmente incentrata dall’inizio alla fine su una famiglia asiatica. Già questo era una cosa interessantissima. Poi il personaggio che interpreto, Waymond, è veramente fantastico con le sue mille sfaccettature. Questo mi ha definitivamente convinto. È un personaggio che ha moltissimi strati, moltissime sfumature, soprattutto ha questo lato gentile ed empatico, di cui mi sono innamorato profondamente. Preciso che mi sono innamorato della sceneggiatura appena l’ho letta perché mi ha fatto ridere e piangere un sacco. Perciò sono veramente grato a Jonathan Wang e ai Daniels per avermi fatto entrare nel cast interpretando Waymon. È lui che nel film ci offre il messaggio che vorrei tutti potessero portarsi dentro, cioè di essere gentili li uni con gli altri. Che è la cosa di cui abbiamo più bisogno. Soprattutto dopo quello che ha attraversato il mondo in questi ultimi anni.»

Wang, come siete arrivati a Quan?
«Cercavamo qualcuno che sapesse praticare le arti marziali, ma che non fosse il classico maschio alfa. Volevamo anche un attore che fosse empatico, proprio come lo è Waymon. Un giorno, a casa di uno dei Daniels ho visto un estratto da un fim che Quan aveva girato ad Hong Kong. Lo abbiamo trovato perfetto per il ruolo. Ci siamo messi alla ricerca del suo agente e la cosa è andata in porto. Ma la cosa buffa è che Quan, fino alla settimana prima non aveva un agente. Se lo avessimo chiamato otto giorni prima, lui non avrebbe avuto il ruolo.»

Questo dice molto anche della sintonia che c’è fra lei, in quanto produttore, e i Daniels.
«La nostra collaborazione dura da dodici anni. Abbiamo iniziato facendo video musicali e poi le cose sono creciute. E nel frattempo si è creata una squadra di persone che lavora come fosse una famiglia. Voglio dire, quando siamo sul set non c’è una gerarchia, tutti sono allo stesso livello, tutti lavorano per la riuscita del progetto. Dentro la squadra ci sono dei piccoli geni. Dal canto loro, posso dire che i Daniels sono due piccoli geni in un solo corpo. La controprova è Everywhere…, un film veramente creativo.»

Il film utilizza in maniera personale l’idea di Multiverso. È una idea che avete sviluppato dopo il successo del Marvel cinematic universe oppure ve la portavate dietro da tempo e grazie allo sdoganamento dei film di supereroi siete riusciti a sviluppare?
«Viene da molto prima della comparsa del multiverso presente nel MCU. L’idea nasce con il primo lungometraggio dei Daniels, Swiss Army Man – Un amico multiuso, quindi verso il 2015. Dopo ci sono stati una serie di eventi che hanno rallentato il processo produttivo e creativo del film. All’inizio era uno script molto complicato da trasporre in immagini, inoltre avevamo scelto una attrice che non era disponibile in quel momento, poi è arrivato il Covid, abbiamo avuto difficoltà a trovare finanziamenti… Insomma, le cose sono andate per le lunghe. Nel frattempo sono usciti due o tre Spiderman, due Doctor Strange… Comunque, per risponderti, sì, la nostra idea di multiverso cinematografico è nata prima.»

Il Multiverso proposto in Everywhere Everything all at once dice molto del caos in cui siamo immersi, della nostra contemporaneità. Non è un caos prettamente fantascientifico e l’ironia che veicola non è solo portatrice di risate. È così anche per lei, Quan?
«Tutto quello che si vede nel film era già tutto nello script, ci tengo a precisarlo, che era scritto in maniera estremamente poetica. Nel primo incontro avuto con i Daniels la prima cosa che ho chiesto loro è cosa rappresentasse il bagel. Loro me lo hanno spiegato con tale precisione da farmi capire quanto avessero una motivazione chiara per ogni elemento inserito nel film. Il loro pensiero è che la società contemporanea ci bombarda costantemente con informazioni provenienti dai canali più diversi: televisione, social, internet ecc. Questo porta alla creazione, nella nostra mente e attorno noi, del caos più totale. I Daniels con Everywhere… volevano trovare la bellezza dentro questo caos. Quindi la tela su cui hanno dipinto il film era proprio la bellezza estratta dal caos delc ontemporaneo. Però dobbiamo sempre tener conto che al centro del film sta una famiglia i cui componenti non sono in grado di comunicare fra loro. Anche questo faceva già parte del progetto del film. Vedere poi i Daniels mettere in atto sul set quello che era nella sceneggiatura, è stato una cosa meravigliosa. Perché per loro il concetto di ridurre le cose al minimo così da creare l’effetto migliore, non esiste. Per loro esiste l’aggiungere, il dare di più, di più, di più. Praticamente quello che si vede nel film.»

Insieme al multiverso, dentro e fuori dal film, l’altro concetto che sembra essere sviluppato è quell odella dualità, del doppio (a partire dai produttori e dai registi). È così, Wang?
«Non so se sia perché il film lo han fatto i Daniels, ma effettivamente la dualità alla fine è l’argomento principale. Il multiverso è una dualità di una dualità di una dualità che si incastrano una dentro l’altra. Anche a livello visivo. Se pensate al bagel, il suo doppio è l’occhio. Noi viviamo in un mondo costruito sul doppio. Però lo teniamo tutto dentro un unico universo. Nel film dei Daniels, ci sono invece sempre due versioni di noi stessi, elevate però all’ennesima potenza. Se si guarda bene, nel film si trova sempre un punto di vista e il suo opposto. E tutto questo viene esposto per poter arrivare a raccontare dell’empatia e della gentilezza che gli uni dovrebbero avere nei confronti degli altri, del trovare un punto di accordo.»

Quanto in Everywhere… rimanda al lavoro delle sorelle Wachowski in Matrix e Cloud Atlas?
I Daniels avevano finito di girare il loro primo lungo e avevano appena rivisto Matrix. Gli è così venuto in mente di fare un film tipo quello, però ambientato nel Multiverso. Non solo. Volevano fare un film come quello delle Wachowski, ma divertente e al contempo incentrato su una famiglia asiatica con problemi di relazione, i cui componenti cercano un modo per ritrovarsi.

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