Recensione di “Francamente me ne infischio”

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Antonio Latella rilegge Via col Vento attraverso una lettura postmoderna del personaggio di Rossella O’Hara

 

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Cosa: “Francamente me ne infischio”, remake di “Via col vento”
Chi:
 Antonio Latella
Quando: 16 – 17 marzo
Dove: Teatri di Vita, via Emilia Ponente 485
Info: www.teatridivita.it

di Cristian Tracà

Prima del Francamente me ne infischio di Antonio Latella, portato in scena nello scorso weekend a Teatri di Vita, risultava difficile poter immaginare che da Via col Vento

Antonio Latella rilegge Via col Vento attraverso una lettura postmoderna del personaggio di Rossella O’Hara

 

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IN BREVE  Cosa: “Francamente me ne infischio”, rilettura di “Via col vento” Chi: Antonio Latella  Quando: 16 – 17 marzo  Dove: Teatri di Vita, via Emilia Ponente 485  Info: www.teatridivita.it

 

di Cristian Tracà

 

Prima del Francamente me ne infischio di Antonio Latella, portato in scena nello scorso weekend a Teatri di Vita, risultava difficile poter immaginare che da Via col Vento e da Rossella O’Hara, testo e immagine consegnati all’immaginario collettivo quasi come un feuilleton sentimentalistico, potesse deflagrare un insieme di suggestioni, sia visive che sonore, così potente e variegato e un’esplosione decostruttivista tale da riconsegnare la voce ad un paradigma letterario considerato ormai intrappolato nel mutismo di un tempo troppo lontano.

Tocca all’encomiabile lavoro di destrutturazione e di moltiplicazione dei piani narrativi e dei segni, che raccoglie in una sintesi personalissima le punte di avanguardia più significative delle arti e della letteratura, scuotere l’impero dei segni dell’America che fu, all’interno di un originalissimo pentathlon drammaturgico, rivoluzionario già dalla modalità di fruizione e dal nuovo rapporto che fa nascere tra palcoscenico e pubblico, tra tempo della ricezione e orizzonte di senso dilatato e scomposto.

Non è la prima volta che il regista scardina la narrazione privilegiando un intreccio impastato profondamente nell’essenza di una temporalità proustiana e soggettiva, continuamente attraversata da memorie involontarie. Francamente me ne infischio, al di là del richiamo quasi celentanesco del titolo, si stratifica su una serie di cinque tessere ( Twins, Atlanta, Black, Match, Tara), in un mosaico che sfugge a qualsiasi etichetta.

Domina il canone che nega la possibilità del realismo sulla ribalta. La declinazione di questo rinnegamento si chiama intertestualità e intermedialità. Il remake di Latella gioca con consapevolezza sull’autoevidente abbattimento dei confini di quarta parete, di pagina e di pellicola. L’ironia e la presa di distanza attraverso l’ostentazione della meccanicità delle forme d’arte che imprigionano la storia è un fil rouge semanticamente molto spesso tra le varie parti dell’opera.

Nell’idea di modularità scomponibile e ricomponibile si comincia con una prima irridente parodia delle ossessioni americane: il patriottismo, il quiz, il doppio vs il manicheismo, la costante tensione all’esibizione della propria grandezza. E’ questa l’idea che penetra più a fondo, magnificata sul palco da un’invasione costante del vessillo a stelle e strisce, funzionalmente multiforme, vero e proprio leit-motiv della pentalogia (insieme ad uno scimmione, presenza perturbante, nel cui movimento si annida quella rimozione degli istinti e della radice primigenia del mondo americano, prima di essere educato nei confini del sogno e del consumo).

Nel gorilla che guarda un plastico di una casa americana, sullo sfondo musicale della colonna sonora di Via col Vento (che è anche quella di Porta a Porta) i più fini spettatori hanno potuto cogliere uno degli infiniti ammiccamenti geniali tra regia e pubblico. In questa nuova convenzione di scena tutto il gap attesa e sorpresa e un processo di straniamento che si nutre continuamente di stimoli e immagini che si sprigionano all’improvviso: su tutte la Rossella del terzo spettacolo, Menade danzante tra caos e tentativi di ricomporre l’ordine.

C’è la lotta tra le anime dell’America che non ha mai fatto i conti con la sua essenza più profonda: il dialogo tra scimmia, indiano d’America e donna africana, suggellato poi dal successivo monologo di Rossella, emigrata irlandese divenuta improvvisamente volto e mano del latifondo e della proprietà, condensa in un solo tratto la complessità del mosaico identitario di un popolo che forse ha solo la facciata del meltingpoint.

In scena c’è spazio tanto per gli States dell’intrattenimento multinazionale (I Simpson), quanto per una rilettura quasi in chiave beckettiana degli universi maschili che ruotano attorno a Rossella, con la scelta di mettere attorno ad un tavolino, come quattro amici al bar, i personaggi precedentemente solo evocati dalle protagoniste femminili, quasi sempre presentate in chiave di nevrosi da desiderio, al cospetto di un mondo in fondo meno fallocratico di quanto l’immaginario rosa lo avesse dipinto.

Se di grande levatura è l’operazione culturale di Latella, non da meno è il talento e la poliedricità delle tre protagoniste (Caterina Carpio, Candida Nieri, Valentina Vacca), capaci di reggere il palco per un totale di cinque ore esplorando una gamma di sentimenti, timbri, generi e identità vastissimi. Difficile trovare prove di recitazione così impegnative nel panorama teatrale contemporaneo, al cospetto di una missione ardua come quella di rappresentare il labirinto, della Storia e delle storie, che si costruisce attorno a Rossella.

Rossella infatti – e per rendere al meglio la cifra di questo personaggio lasciamo l’onore della sintesi alla nota di regia di Latella – ‘’è una giovane donna capricciosa e senza scrupoli che affronta tutte le difficoltà con spirito di conquista, incapace come il suo popolo di riconoscere la sconfitta anche quando se la trova davanti. Tutto gira attorno a lei, tutti parlano di lei, tutti la descrivono in modo meraviglioso e poi la distruggono. Attraverso di lei si racconta una folle storia d’amore e l’epopea di una nazione. Rossella è brutta ma bella. Rossella è una bambina. Rossella è la menzogna. Rosella è una donna testarda. Rossella è la smorfia, è il sorriso. Rossella è la paura di restare zitella. Rossella è la donna che non vuole sposarsi per restare libera. Rossella è la moglie che nessun uomo vorrebbe, ma che tutti sposano. Rossella è l’incapacità di essere madre. Rosella è la madre di tutti i figli che non sono suoi. Rossella è l’America.’’

20 marzo 2013

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