Un disco sexy per i Massimo Volume: l’intervista a Emidio Clementi

La band bolognese presenta in un tour per teatri Il nuotatore, suo ultimo lavoro discografico. Battesimo del fuoco, l'Auditorium Manzoni di Bologna.

IN BREVE Cosa: intervista a Emidio Clementi, in occasione del live del nuovo disco Il Nuotatore Dove: concerto l’Auditorium Manzoni (Via De’ Monari 1 /2, Bologna) Quando: mercoledì 20 febbraio 2019

Sei anni separano Aspettando i barbari da Il nuotatore, nuovo progetto discografico per 42 Records di Vittoria Burattini, Egle Sommacal, Emidio Clementi, ovvero i Massimo Volume. Un lasso di tempo enorme visti i ritmi odierni con cui si muove l’industria discografica. Ma niente pare aver scalfito la potenza compositiva, la profondità dei suoni e dei testi di un gruppo che proviene dalla “notte dei tempi” della storia musicale bolognese, dal 1991.

Se il disco è negli store dal Primo di febbraio, i Massimo Volume tornano a calcare i palchi con le nove canzoni che compongono questo ultimo progetto più i loro pezzi storici dal 20 febbraio, a Bologna. A ospitare la band bolognese, per la prima tappa del tour che li vedrà impegnati a suonare in una dozzina di teatri in giro per l’Italia, è l’Auditorium Manzoni, in pieno centro cittadino.

“Suonare nei teatri non è un’esperienza del tutto nuova, per noi” dice Emidio Clementi, voce, basso e testi della band, raggiunto via telefono. “È però la prima volta che abbiamo un tour composto esclusivamente di date in un circuito che non sia quello dei club”.

Come è nata questa serie di date?

“Sinceramente è un po’ dettata dalle circostanze. Avevamo avuto una proposta da parte dell’auditorium Manzoni e, a quel punto, abbiamo cavalcato l’idea di una prima fetta del tour esclusivamente nei teatri. Ci è parsa una scelta bella e ambiziosa.”

Perché?

“Beh, prima di tutto andiamo a suonare in alcuni luoghi prestigiosi. Inoltre è una prova di tenuta per noi. Nello scambio che avviene durante un concerto fra musicista e pubblico, interpretare quello che sta succedendo in una sala teatrale non è semplice come nei club. Il pubblico è distante e lo perdi un po’. Quindi sarà importante la carica e l’emozione che ci metteremo, il come ce la giocheremo fra di noi sul palco.”

Quindi la partenza del tour da Bologna è dettata dal caso. Non si porta dietro una motivazione di qualche tipo da parte dei Massimo Volume.

“È così: una partenza voluta dal caso. Ma anche sofferta. Tutti noi speravamo di cominciare il tour in luoghi un po’ più lontani così da arrivare a Bologna con un set già rodato e forse fare più bella figura. Comunque è così: Bologna come prima data, battesimo del fuoco ma poi… suoniamo da una vita, andrà tutto benissimo.”

Fra il debutto bolognese e il concerto successivo, passano nove giorni. Scusa se insisto, ma sembra voluto, intenzionale. Invece, nulla di simbolico.

“No, nulla. Però possiamo farlo diventare tale. Anzi, alla fine lo è. Partiamo da Bologna con un nuovo tour, con una nuova chitarrista, un disco nuovo. Già domani sera stessa, saremo contenti di esser partiti da qui. È però vero almeno in parte: ci mette un po’ di inquietudine. Ma spero che avremo il pubblico dalla nostra, quindi anche pronto a perdonarci qualche sbavatura, che non ci sarà.”

Come avete deciso di lavorare per mantenere il suono de Il nuotatore e dei vostri pezzi di repertorio in teatro?

“Ambiziosamente l’idea è quella di piegare il teatro alla nostra musica. Pensando alla scaletta, abbiamo deciso di inserire la parte più elettrica del nostro lavoro. Non volevamo adattarci al teatro, diventare più soffusi, “un po’ da spazzole”, perché non è il nostro mondo. Sarà un concerto dei nostri, ma nei teatri, che mediamente “suonano” molto bene rispetto ai club. Sarà un’arma in più per noi avere un suono nitido. Ecco, questo mi piace.”

L’altra chitarrista che sarà con voi sul palco è Sara Ardizzoni.

“Sì.”

Nel disco invece suonate in tre. Detta così fa tanto power trio anni Settanta. Ma il Nuotatore offre suoni meno taglienti di un trio basso, chitarra, batteria. L’ho trovo molto più sinuoso rispetto anche al disco precedente.

“È vero. Forse quando abbiamo composto il disco, c’era più asciuttezza. Poi Egle ha sovrainciso per ogni brano delle chitarre e quello può aver ammorbidito in parte il suono, gli ha dato più melodia rispetto ai nostri dischi precedenti. Ma è proprio lì che volevamo arrivare.

Ci siamo anche resi conto in seguito che quelle parti non erano più dei “colori”, ma erano strutturali ai pezzi. Perciò avevamo bisogno che qualcuno le eseguisse dal vivo. Inoltre, pensando al nostro repertorio, dove sono presenti sempre due chitarre, avremmo dovuto rivedere tutto l’arrangiamento dei pezzi. Abbiamo pensato che non era la scelta giusta. Anche per questo abbiamo coinvolto Sara.”

Che subentra a Stefano Pilia, il vostro chitarrista precedente.

“Stefano sarebbe anche rimasto, noi eravamo contentissimi di lui. Però è vero che, per il tipo di carriera che ha scelto, fa fatica a stare dentro un gruppo. Ha molte offerte, molti progetti.”

Come ho detto, trovo il suono de Il nuotatore più sinuoso rispetto ai lavori precedenti. Lo avete deciso perché volevate staccarvi da quanto fatto con Aspettando i barbari?

“Era una nostra esigenza. Una delle parole che tornava – forse anche assurdamente pensando alla nostra musica che è austera, monolitica, drammatica – era “sexy”. Volevamo fare un disco “sexy”, cercavamo di essere un po’ più “sexy”. Rispetto al nostro stile, su questo disco lo siamo. Penso in special modo alle ritmiche. Oltre alla batteria di Vittoria, ci siamo preoccupati di lavorare più ritmicamente anche con le linee di basso e di chitarra, proprio per accentuare questo tipo di atmosfera. Poi, chiaramente, in un percorso come quello dei Massimo Volume, che è molto lungo, si guadagna sempre qualcosa e si perde qualcos’altro. Penso a una certa urgenza, a una certa energia… Però nel Nuotatore spero almeno che la parte testuale per la prima volta arrivi un po’ dopo.”

Cosa intendi esattamente?

“Che ti puoi godere di più il disco senza prestare molta attenzione ai testi. Questa volta sono più inseriti all’interno del tessuto musicale – e accade anche perché ho lavorato molto più sulla rima. Puoi arrivare al testo più tardi. Rimane sempre un elemento importante, sia chiaro, però non si mangia il resto, non diventa preponderante, non diventa faticosamente preponderante.”

Hai detto di aver creato testi che avessero al loro interno un sistema di rime e offrissero una partecipazione al tessuto armonico dei pezzi. È stata una procedura “in vitro”oppure è venuta spontaneamente, mentre elaboravi i testi?

“Avevo già iniziato questo lavoro con le rime in Aspettando i barbari e nel disco del progetto Sorge. Ma qui credo sia più accentuato. Fra l’altro è anche creativo lavorare con le rime. Voglio dire, lo vedo come un lavoro più artigianale perché la rima è qualcosa da trovare. In quell’andare alla ricerca della rima, anteponendola al senso, quest’ultimo può anche mutare rispetto alle tue necessità. Non lo trovo un limite, segna un processo di scoperta, di conoscenza, che apre il senso, che gli può dare una chiave di lettura inaspettata. Insomma, mi è piaciuto. Ogni tanto, confesso di essermi sentito in imbarazzo, mi sembrava eccessivo, ma all’ascolto finale funzionava. La ricerca è stata fatta soprattutto sul ritmo e sulla melodia delle canzoni, sulla musicalità delle parole.”

I testi de Il nuotatore, sono stati scritti dopo la composizione delle musiche?

“I testi li ho scritti dopo che avevamo creato le atmosfere musicali. Anche rispetto al passato, dove il lavoro andava di pari passo, questa volta abbiamo prima completato i pezzi a livello musicale e poi mi sono dedicato ai testi. All’inizio con ansia, perché il lavoro passava interamente sulle mie spalle. E anche perché mi si era accumulato molto materiale. Però aver lavorato in un tempo limitato ha dato più continuità al lavoro di scrittura. Sono entrato nel mondo del Nuotatore, ne sono uscito quando ho completato tutto, e questo ha dato maggiore compattezza all’insieme.”

A me è sempre parso che tutti i Massimo Volume fossero una espressione letteraria, che sposasse poesia e narrativa nei testi. La musica risultava sempre necessaria, per carità, ma se dovessi collocare sarebbe sul versante letterario, come performer volendo.

“Rispondo per me solo, perché nel gruppo ognuno ha una sua idea precisa. A me non dispiace. Musica e parole non sono un connubio nato l’altro ieri, perciò… Ti dico anche questo, senza far nomi. Tempo fa ho sentito un appartenente al mondo delle Lettere affermare quanto fosse comunque più bella la poesia più brutta, messa al confronto con una canzone bella e riuscita. Io mi chiedo perché. Perché se John Donne ha scritto poesie che dovevano essere musicate, e c’è una tradizione che risale a centinaia di anni fa e lo accetta, questo non va bene.

Noi ci andiamo a inserire in una tradizione, quindi lo siamo, letterari. Va bene se stiamo a cavallo fra due mondi. Mettere insieme questi due linguaggi, la musica e la parola, non mi è mai parso strano come può invece apparire ad altri.”

Sei anni fa con Aspettando i barbari citavate un romanzo di Coetzee, oggi con Il nuotatore citate un racconto di Cheever, ma nei testi dei Massimo Volume le citazioni letterarie sono state sempre presenti. Però questo richiamo fin dal titolo a una scrittura e a uno scrittore… stai portando una tua ossessione letteraria nel gruppo?

“Credo che tutto nasca da una mia enorme fatica nell’utilizzare l’immaginazione per scrivere i testi.”

Cosa che non pare affatto essere così.

“Diciamo che l’immaginazione mi diventa vaga. Ecco, c’è la mia realtà, il mio vissuto, ma a volte non mi basta o mi annoia. Allora la letteratura mi aiuta come fosse un surrogato della realtà. Ho spesso lavorato su immagini prese da film perché mi restituiscono una base solida da cui partire. Detto in altro modo, dalla concretezza delle immagini spesso mi scatta la molla per scrivere, per raccontare. Ma tutto viene trasposto in quello che ho necessità di dire.

Parlando del disco, sì, è pieno di citazioni, che possono diventare pallose. Il pericolo c’è. Io cerco di portarle fuori da quella zona di pericolo, mescolandole con il mio vissuto. Questo mi offre un terreno su cui impiantare i testi.

Per farti capire, non sarei mai riuscito a inventarmi di sana pianta una vicenda come quella che trovi in Mia madre & la morte del gen. José Sanjurjo – l’aeroplano che precipita perché troppo carico di onorificenze e divise – con tanto di parabola sulla vanità. In quello come in altri casi, la storia è reale. L’ho fatta mia, stravolgendola per come mi serviva. Quando è così, trovo lecito il lavoro di immaginazione e ce la faccio. Se devo partire da zero con un racconto, mi pare tutto molto vago, non riesco a scrivere.

C’è un tema che lega le nove canzoni de Il nuotatore?

“La realtà. Il come appare la realtà. E il desiderio declinato nella paura. Il desiderio trattenuto nella paura. Sono i temi che circolano in quasi tutti i testi.”

Invece un elemento che ricorre in molti dei testi è l’acqua.

Me ne sono accorto alla fine, dopo aver completato il disco. Poi qualcuno mi ha fatto notare la costante presenza del freddo. È vero, tutto. Ma è un altro modo di parlare di ossessione. Se uno le ha non se ne rende conto, tornano nel momento in cui scrivi.”

Sottotraccia mi sembra compaia anche l’inquietudine, quella di riconoscersi come adulti. La percepisco nella canzone che apre il disco, Una voce a Orlando, con quell’accettare la morte che verrà, pur avendone paura. Ma anche nella canzone che da il titolo al lavoro, con questa immagine della casa violata.

“Mi fa piacere se dici che è un disco che tocca temi da adulti. In fondo ho 52 anni, sono uno scrittore realista, interessato alla realtà e turbato dalla realtà. La realtà di oggi, con i suoi infiniti chiaroscuri. Quello mi appassiona: le contraddizioni dell’esistenza. Se un tema non parte da una contraddizione, è difficile che mi metta a raccontarlo, a scriverne.”

Quindi questa inquietudine è un altro dei possibili temi del disco.

“Leggendo i racconti di Lucia Berlin, che sono molto vitali anche se parlano di tragedie, pare che tutto quanto le sia accaduto nella vita sia stato un bene perché lei lo ha potuto raccontare. Alla fine non so se sia una maschera, ma mi ha interessato il fatto che per lei tutto questo è un atto di conoscenza. Voglio dire, malgrado tutto quello che uno può affrontare nella vita, malgrado l’inquietudine, c’è questa possibilità di poter diventare un uomo di conoscenza, di sentimenti. A quello mi ci vorrei attaccare.”

Oltre alla realtà, e alla realtà presente nei libri, di cos’altro ti nutri per scrivere i testi dei Massimo Volume?

“Di tutto. Anche di fatti di cronaca, come è accaduto per Una voce a Orlando, storia che ho incrociato grazie a un video su Youtube. Dalla concretezza delle immagini spesso mi scatta la molla per scrivere, per raccontare.”