Recensione di “Un tram che si chiama desiderio”

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Un’intensa versione del classico di Tennessee Williams al Teatro di Casalecchio

 

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Chi: il regista Antonio Latella per il testo di Tennessee Williams
Cosa: recensione dello spettacolo teatrale “Un tram che si chiama desiderio”
Quando: 2 e 3 marzo
Dove: Pubblico, il Teatro di Casalecchio, Piazza del Popolo 1

Sul tram che si chiama desiderio di Antonio Latella l’eros ha le note del rock, lo spazio e il tempo vivono in una dimensione di memoria proustiana, gli oggetti diventano un labirinto che intrappola anche il desiderio di fuga degli uomini. Applausi a scena aperta anche al Teatro di Casalecchio, il “Pubblico”, per il testo di Tennessee Williams,…

Un’intensa versione del classico di Tennessee Williams al Teatro di Casalecchio

 

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IN BREVE Chi: il regista Antonio Latella per il testo di Tennessee Williams  Cosa: recensione dello spettacolo teatrale “Un tram che si chiama desiderio”  Quando: 2 e 3 marzo Dove: Pubblico, il Teatro di Casalecchio, Piazza del Popolo 1

 

di Cristian Tracà

 

Sul tram che si chiama desiderio di Antonio Latella l’eros ha le note del rock, lo spazio e il tempo vivono in una dimensione di memoria proustiana, gli oggetti diventano un labirinto che intrappola anche il desiderio di fuga degli uomini. Applausi a scena aperta anche al Teatro di Casalecchio, il “Pubblico”, per il testo di Tennessee Williams, messo in scena il 2 e 3 marzo scorsi da un regista che non ha bisogno di presentazioni e che riesce a far esplodere con una vitalità maestosa la complessità di una drammaturgia così introspettiva come quella dell’amatissimo autore americano. Come in altri testi di Williams e come nella tradizione di Pinter la minaccia alla stabilità, la molla della crisi arriva dall’esterno e spezza un difficile equilibrio, quello della classe media americana cerca di consolidare il mito dell’ascesa.

Il filtro della messa in scena, così profondamente brechtiana nell’anima, è la mente torbida della protagonista Blanche, incarnata meravigliosamente da Laura Marinoni, il cui immaginario è magnificato dal risalto visivo conferito ad elementi archetipici, privi di ogni orpello realistico, ridotti a scheletri feticcio, trasformati da oggetti di uso quotidiano a supporti per fari stranianti, continuamente esibiti nella loro funzione più meccanica e aggressiva.
Nell’incontro – scontro con il cognato Stanley la protagonista esalta con una tensione eccezionale quello strisciante conflitto tra la femminilità del dolore perturbante e conturbante (il nuovo) e la legge fallocratica dell’ordine, universo senza scampo. Vinicio Marchioni trova una chiave formidabile per dare il giusto spessore alla dimensione paradossale dell’eros in un Sud così arcigno come il Mississippi di Williams: la meravigliosa e tormentata anarchia della passione, quel sottile legame tra amore, potere e morte dinanzi alla schiacciante compressione della convenzione e della morale manicheistica.

La cura del dettaglio, la scelta di uscire dal naturalismo interpretativo, musiche come quelle dei System of a Down portano la ricerca antirealistica di Latella a vette veramente altissime: difficile accostare così bene un’introspezione in fondo lirica nell’animo umano e una deflagrazione di quell’essenza rock così bene coltivata nell’underground del detto e del non detto sulla scena. Le tappe che conducono Blanche da Stanley sono un itinerario che passano per due tram chiamati ”desiderio” e ”cimitero”, fino al raggiungimento dei Campi Elisi, che però di felice hanno solo la loro prima soglia testuale.

In una società così profondamente vocata al comandamento del proibizionismo non c’è altra possibilità per la protagonista se non consumarsi nel fascino maledetto del desiderio: la quete inquietante non ha un effetto molto diverso da quella più celebre ariostesca, in entrambi i casi è la follia la destinazione del viaggio senza meta. Il tentativo di fuga dal misfatto assoluto del desiderio quasi incestuoso, che accompagna il pubblico per tre ore, crolla miseramente davanti alla prepotente resa dei conti con l’ordine costituito, divelto solo nelle sue pareti sotterranee.

Stanley, nonostante sia un personaggio ”rotto”esattamente come tutte gli altri (è proprio Latella a parlare di figure rotte), potrà esibire il trofeo della sua virilità con il suo primogenito americano che forse non dovrà scontare, come è accaduto a lui, la tara dell’essere straniero. Per la povera Blanche un vicolo cieco: l’obbligo di lasciare anche i Campi Elisi alla ricerca di un nuovo inizio e con l’illusione di poter creare una nuova armonia di spazi, non insediata dai fantasmi del male di vivere incontrato troppo presto.

Il merito di saper portare le sfumature del romanzo in scena senza ingolfare il naturale contrappeso della teatralità è ascrivibile ad una regia che gioca con l’intreccio capovolgendo con maestria i cronotopi, restituendo la cifra di analisi psicanalitica e sociologica del testo e oltre il testo di Williams.

04 marzo 2013

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