Recensione del concerto dei Dirty Three

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Live report: Warren Ellis & soci alla prova di Piazza Verdi (3 giugno scorso)

 

Dirty-Three-livereport-list01Chi: Dirty Three
Cosa: report dal concerto
Quando è successo: domenica 3 giugno, ore 21:00
Dove: Piazza Verdi
Photo credits: Michele Maglio

 

Non è una situazione ottimale, per un concerto. Questo, secondo me, va detto. Aver foderato Piazza Verdi di tavoli tavolacci e tavolini, lasciando al palco uno spazio risicato, non aiuta l’atmosfera. Oltre al fatto che il concetto stesso di “piazza” implicherebbe di per se stesso la presenza di uno spazio aperto…

 

 

Live report: Warren Ellis & soci alla prova di Piazza Verdi (3 giugno scorso)

 

IN BREVE Chi: Dirty Three Cosa: report dal concerto Quando è successo: domenica 3 giugno Dove: Piazza Verdi Photo credits: Michele Maglio

 

 

di Antonio Tirelli      (foto di Michele Maglio) 

 

 

Non è una situazione ottimale, per un concerto. Questo, secondo me, va detto. Aver foderato Piazza Verdi di tavoli tavolacci e tavolini, lasciando al palco uno spazio risicato, non aiuta l’atmosfera. Oltre al fatto che il concetto stesso di “piazza” implicherebbe di per se stesso la presenza di uno spazio aperto e possibilmente sgombro da ostacoli e orpelli.

Gli Eveline aprono la serata, in sordina proprio perché nel momento in cui salgono sul palco i presenti in piazza stanno seduti in un’atmosfera da pub, magari girati in direzione opposta a quella del palco stesso. Insomma, la nuova Piazza Verdi, così come proposta in questa introduzione all’estate, non mi convince. E finisce che mi distragga pure io e che continui a far fatica a seguire la musica per i dieci minuti successivi all’inizio del concerto. E mi distrae il chiacchiericcio, del quale ovviamente non si può far colpa a nessuno. Il gruppo spalla ha comunque un suono abbastanza forte e deciso per rimediare almeno parzialmente e attirare gente a ridosso dello stage.

Fra i tanti, mi avvicino anch’io, giusto in tempo per l’arrivo sul palco di Warren Ellis, Mick Turner e Jim White. I Dirty Three. Ellis è un riuscitissimo incrocio tra mago Merlino, Ian Anderson dei Jethro Tull e un aristocratico mendicante. Saluta il pubblico e stringe la mano a chi gliela tende. Parla un australian english onestamente difficile da seguire. Sembra molto simpatico. Sicuramente si accorge di parlare un inglese per niente alla portata di tutti gli astanti. Guarda fra il pubblico. Chiede: “Ehi, c’è qualcuno che può tradurre quello che dico? Tu sei capace? Bene, vieni pure. Dai! Sali, fammi da interprete”. E così il ragazzo che lui ha puntato viene tirato sul palco. Ci ritornerà un paio di volte, durante l’esibizione, e avrà pure il tempo di chiedere a Ellis: “Per favore, Warren. Parla lentamente”. E Warren sorriderà accontentandolo.

Lo “Sporco Trio” sceglie di farla breve e parte mettendo in chiaro il proprio carattere. Il suono dei tre è un bulldozer sonoro che prende a schiaffi la platea intera. La batteria (White) si muove disinvolta passando dai “rubato” agli “ostinato”, talvolta libera da precise scansioni ritmiche talvolta tenendo il tempo rigidamente. Grezzissima, efficace, intelligente. La chitarra (Turner) offre l’impalcatura armonica. Fa da tappeto, come si dice. Graffia e accarezza, costruisce le armonie contemporaneamente sostituendosi al basso, non contemplato nella formazione del gruppo. Chitarrista e batterista sembrano possedere una calma olimpica. La quale serve probabilmente da contrappeso all’atteggiamento da tarantolato di Ellis, che massacra il suo violino e contemporaneamente salta, si contorce, lancia ululati al cielo e al suo pubblico. Puro spirito rock dei bei tempi andati, azzarderebbe a commentare qualche critico musicale della vecchia guardia. Poco originale come affermazione, ma calzante se riferita ad un musicista che ha montato sui suoi violini pick up da chitarra elettrica e di fatto svolge nella sua band il ruolo che in un ensemble tradizionale spetterebbe ad una chitarra solista. 

Guardandomi intorno mi rendo conto che non tutti i presenti erano a conoscenza del tipo di approccio alla musica proposto dai Dirty Three. Un approccio che non prevede facili classificazioni. Una musica strumentale che ospita fra le mani degli strumentisti tanto il rock quanto la musica sinfonica, ma che al rock toglie parte dei fondamentali (il basso elettrico) e all’atteggiamento classico toglie la pulizia del suono, sostituita da distorsioni infinite, sovraincisioni e un’aggressività che a me ha ricordato alcuni brani dei Prodigy. Qualcuno guarda i musicisti con aria interdetta. Sento una ragazza dire alle sue amiche di fianco una frase come: “Vabbè, due o tre pezzi…ma poi diventano pesanti!”. Rimane dubbiosa una mia cara amica di grande cultura musicale che alterna momenti di cui il sound è decisamente di suo gradimento a momenti in cui proprio non arriva a capire dove la band voglia andare a parare.

In generale, il concerto è un successo e il pubblico è con la band che sfortunatamente può limitare la propria esibizione ad un solo bis di circa un quarto d’ora. Il diktat arriva forse da Palazzo D’Accursio: non si va oltre le 23.30. Passate le quali non riesco a fare a meno di continuare a guardarmi intorno nel tentativo di scovare i volti di chi non è stato totalmente rapito dallo show al quale abbiamo assistito. Cerco di fare attenzione e, per quel che mi è parso di capire, chi non sia stato pienamente coinvolto è tornato a casa senza emanare editti di condanna. Chi non sia stato pienamente coinvolto è plausibilmente tornato a casa ponendosi qualche domanda (che poi mi sono posto anch’io, lo confesso).

Che musica era? Da dove gli sono venute, quelle idee? C’è qualcun altro che suona così, in giro? Mi conviene approfondire l’argomento? Ecco: queste domande sono il vero successo dei Dirty Three, che loro ne siano consapevoli o meno. La musica è degna di essere chiamata Arte quando – così come accade per la letteratura, per il cinema – depista e scuote, offrendo a chi vi si accosta uno o più dubbi sui quali riflettere e dai quali costruire conoscenza. Bravi.

P.S. Se vi interessa approfondire l’argomento Dirty Three, potete partire dall’ascolto di Toward A Low Sun (2012), oppure andare a cercare Ocean’s song (1998), da alcuni ritenuto il loro lavoro migliore. Se potete, ascoltate il magistrale album The Boatman’s Call di Nick Cave: in primo piano, oltre ai testi e alla voce di Cave, il violino di Ellis.

 

 

Le fotografie del live report sono realizzate da Michele Maglio, le pubblichiamo per gentile concessione dell’autore mantenendone riservati tutti i diritti. Per vedere il photo report completo della serata potete visitare la pagina Flickr di Michele Maglio: www.flickr.com/photos/43789451@N08/sets/

 

07 giugno 2012

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