Le arti illustrate, gli illustrati per l’arte

Una panoramica sui volumi illustrati che propongono l'arte ai bambini o la utilizzano per arricchire il racconto

IN BREVE Cosa: Una selezione di titoli fra libri illustrati e non dedicati ai più piccoli Dove: Nelle librerie di Bologna e d’Italia  Quando: Ora  Costo: Vario Immagine da “Il Giardino di Matisse”

Che siano di grande o di piccolo formato, gli illustrati hanno da sempre frequentato il mondo delle arti visive. E da sempre ne hanno citato o reinterpretato le forme e i colori, così come le hanno usate riproducendone fedelmente l’immagine. Pratiche diverse, che però collegano strettamente illustrazione ad arti visive, un filo rosso che non si è mai spezzato, anzi, si rinnova costantemente nelle sue commistioni.

Andando a memoria, il Museum of Modern Art di New York-MoMA, è sbarcato in Italia un paio di volte con i suoi prodotti. Sì, “prodotti” è il termine è corretto, almeno in un caso. La prima volta è stato nel 2011. La casa editrice Corraini importa e propone un paio di box colorati contenenti varie sagome di cartoncino con cui creare, in sedicesimo, alcuni ambienti abitativi e circa 150 abbigliamenti adattabili ai quattro membri di una famiglia. Le due proposte si chiamavano rispettivamente Modern play house e Modern play family. Adesso sono in ristampa e, se curiosità mordesse, ordinabili solo su Amazon.

Nel 2015 invece a legarsi con l’istituzione americana è l’emiliana Fatatrac – marchio di Edizioni del Borgo, a sua volta parte del gruppo Giunti – operativa da Casalecchio di Reno, due passi da Bologna. Qui il progetto è differente: si tratta di coeditare volumi illustrati, che in vario modo hanno come tema la divulgazione delle arti visive, chi le produce (ovvero l’artista) e perché. Tutti i volumi sono indirizzati a bambini dai cinque anni di età.

Dentro la collana, intitolata giustamente “I grandi albi MoMA”, per ora trovano ospitalità tre titoli. L’ultimo è Ai tempi di Degas, firmato da Samantha Friedman e Cristina Pieropan. Ma, andando indietro, a rimanere nel cuore è La piccola Charlotte filmaker (pp. 32, € 19,90), scritto e illustrato da Frank Viva. Il designer, conosciuto anche per le sue copertine del New yorker ha creato un gioiellino in cui la grafica, che si richiama apertamente agli anni Sessanta del Novecento, va perfettamente a braccetto con la storia. Perfetto è anche il personaggio principale di Charlotte, la bambina newyorkese perennemente accompagnata dalla sua videocamera che realizza film in bianco e nero, sempre e comunque. “Il colore mi fa venire il mal di testa” confessa a un certo punto, per spiegare la sua ossessione. C’è una logica in questo. Cioè, quando si hanno genitori che ti portano al Golden Theatre (“dove il pavimento è appiccicoso e il pop corn è appetitoso”, dice il padre) per vedere film come The bicycle thief di un certo De Sica, guarda caso in bianco e nero, una certa idea di estetica non si può eludere, solo incrementare. Se poi ogni domenica, i suddetti genitori portano Charlotte al MoMA, il gioco è fatto. Se state pensando al livello culturale e sociale di questi due adulti, non sbagliate, ma non è questo il punto. Proprio nel Museo Charlotte incontra Scarlet, una signora che lavora nel Dipartimento cinematografico. Le due sono fatte l’una per l’altra, dagli abitini a pois che indossano fino all’idea del cinema come arte è comprensione immediata. Da qui in poi la storia è tutta in discesa e la percezione che Charlotte viva una forma di disadattamento rispetto a una società carica di colore, troppo appariscente, troppo roboante, si va a ribaltare. Viva costruisce una favola moderna, certamente a favore del MoMA e, da qui, di tutta l’arte contemporanea. Una favola che inoltre mantiene fermo il concetto di una diversità come luogo da esplorare perché ricco di stimoli e novità, con un pensiero alla cineasta tedesca Lotte Reininger.

A inizio articolo abbiamo citato Corraini, casa editrice dal cui cappello spuntano sempre gradite sorprese. Una delle ultime, che abbiamo potuto e che possiamo ammirare fino al 15 gennaio nel foyer del MAMbo in via Don Minzoni a Bologna, è la serie sulle avventure del Re della Torta di carote, creata da Yocci, nome d’arte della giapponese Yoshiko Noda. L’esposizione, inaugurata durante la decima edizione di BilBOlBul – Festival internazionale del fumetto, propone tavole estratte dai primi tre libriccini “formato quadrettone” pubblicati a fine 2016 e indirizzati a un pubblico dai tre ai cinque anni: Il nonno del re; L’assistente del re; Un regalo per la regina (pp. 14, € 8). Sono storie semplici, apparentemente inconcluse e quindi inconcludenti. In realtà Yocci crea un universo a misura di bambino. Un bambino che deve essere accompagnato nelle prime letture, cioè nel passaggio a un altro livello di comprensione rispetto a quanto lo circonda, e che per poter affrontare questo momento deve mantenere viva una visione meravigliosa, ironica e quasi nonsensical del mondo. Anche per questo Yocci, diplomatasi all’Accademia di Belle arti di Bologna, usa un tratto grafico decisamente infantile, immediatamente leggibile, dove ogni cosa diremmo ha un significato letterale che sottolinea la parte di narrazione. Perciò se l’assistente del re fa tanta cacca, ecco che il disegno di questa specie di batuffolo di cotone sputa pallini neri a volontà. Se il re della Torta di carote deve fare un regalo a sua moglie, che somiglia a un maiale con la parrucca, lavora sulla luna dove conta gli omoci, per portarglielo prenderà un razzo, ma sbaglierà strada. C’è molto di buffo nelle veloci situazioni narrative che Yocci crea in questi libriccini, ma anche molta possibilità di deviare dal tracciato per inventare altre porzioni della storia e lanciare la fantasia fuori dalla pagina, ma grazie a essa.

Antonio Catalano, poeta, attore e artigiano è un altro esempio di come l’arte possa entrare nelle pagine illustrate di un libro. Infatti questo “artista tuttofare”, ha pubblicato un diario e un album, dove ripropone la sua stralunata commistione di arte visiva e narrazione. Sia Diario di un coccodrillo che Album della famiglia Chiocciola sono volumetti illustrati (pp. 32, 15 €), editi nel 2016 da Artebambini, casa editrice con sede a Bazzano, capaci di procurare stupore in chi li legge. Non tanto per il minimale ma ben circostanziato supporto narrativo – in cui è ben visibile una linea giocosa, ironica – quanto per l’uso materico del colore e per il tratto istintivo con cui vengono create le immagini. Se Album della famiglia Chiocciola appare più minimale nell’uso della illustrazione, in Diario di un coccodrillo (quasi un calendario dell’Avvento ante litteram) le tavole sono intrise di una espressività collegata senza forzature, sinceramente col mondo dell’infanzia. La struttura delle frasi, dal canto suo, sembra anch’essa pervenire dal mondo dell’infanzia, con quell’apparire vicina all’appunto, ma anche alla didascalia. Quello che Catalano crea in Diario di un coccodrillo è la percezione del tempo, del suo scorrere, del suo essere contenitore di eventi che procurano emozioni (positive e negative), ma anche della sua capacità di trasformarsi in ricordo, cioè in una emozione ulteriore.

Sempre di tempo parla Album della famiglia Chiocciola. Altro non sono le foto della famiglia di chiocciole appiccicate con del nastro adesivo nelle pagine dell’album. Quelle dei famigliari, quelle dei giochi fatti con i fratelli, quelle delle passeggiate nel bosco, delle gite sotto la pioggia, delle corse fatte così velocemente che l’immagine risulta mossa. Sono tutte appunti conditi di ironia e leggerezza sulle forme del tempo, sulle esperienze vissute. Non è il sapere che sono avvenute in un momento preciso a far scattare la malinconia nel più piccolo della famiglia Chiocciola? Ma come gli dice lo zio: “La malinconia è la zia della fantasia”. Per cui, altra cosa che Catalano suggerisce, l’album di foto contiene solo uno dei mondi possibili. Gli altri si inventano di sana pianta. Basta aver fiducia e aprire quello che sta nella nostra mente, di album, lasciandoci liberi di immaginare.

Tornando all’inizio, alla coedizione di volumi illustrati fra MoMA e Fatatrac è impossibile non accennare a Il giardino di Matisse, albo coloratissimo creato dall’unione di testo, firmato da Samantha Friedman, e immagini-collage, opera di Cristina Amodeo. Il riferimento da cui muove il libro è scoperto fin dal titolo: Matisse. Di questo grande artista francese Friedman racconta la scoperta e la produzione del collage durante l’ultimo decennio della sua vita. Un periodo estremamente fertile e, sotto molti punti di vista, radicale per quanto riguarda il comparto creativo-artistico. Amodeo crea figurativamente un controcanto figurativo che si lega perfettamente al testo della Friedman offrendo illustrazioni dai colori vividi, in cui forme lineari necessarie a rendere visivamente l’operato di Matisse si alternano a sette riproduzioni di altrettante opere firmate dall’artista francese.

Se il lavoro di Amodeo è estremamente apprezzabile, anche per la sua immediata leggibilità, altrettanto si può dire del testo creato da Friedman. Un racconto mai pedante, eppure sempre attento a rendersi utilizzabile dai bambini per far comprendere loro le ispirazioni da cui nascono questi ultimi lavori di Matisse. Friedman riesce insomma a inserire sottotraccia una ipotesi di didattica dell’arte, che funziona a meraviglia, senza bisogno di stratificare le informazioni. Perché non c’è nulla di meglio che parlare di cosa è un collage a un bambino raccontando e mostrando come da semplici fogli di carta possano nascere meravigliose forme concrete quanto astratte. La meraviglia che scaturisce guardando e leggendo ogni pagina de Il giardino di Matisse (pp. 48 + aperture con bandelle interne per le riproduzioni dei dipinti originali, € 19,90) crediamo sia la migliore testimonianza di quanto stiamo dicendo. Questo libro risulta essere un altro, ben centrato stimolo all’apprendere l’arte attraverso il fare arte.

12 gennaio 2017

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